“Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!”
Salmo 27,7
Il percorso della nostra vita passa prima o poi attraverso strettoie: così chi vive all’interno di un orizzonte di fede si trova ad affrontare momenti in cui la preghiera si fa grido, in cui nella stretta del male, della sofferenza, o della lotta, in mezzo a ingiustizie subite, il dialogo con Dio diventa un drammatico gridare, protestare, insistere. Le prime due parole del versetto sembrano quasi il controcanto dell’incipit dello Shemà Israel, Ascolta Israele (Dt 6,4), Shemà Adonai, Ascolta Signore!
Comando e supplica, richiesta e insegnamento si esprimono con questa voce inconfondibile: ascolta! Essere ascoltati è essenziale per la vita, perché senza ascolto si spezza la relazione, non può sussistere l’amore, e la mancanza di ascolto corrisponde drammaticamente al togliere la parola, al soffocare il lamento, ad annullare l’altro facendo calare su di lui o su di lei il silenzio.
In questi tempi difficili segnati da contrapposizioni ideologiche il togliere la parola tra esseri umani accade con frequenza, l’eliminazione di chi pensa diversamente passa attraverso tanti piccoli e grandi modi di mettere a tacere.
Il grido del salmista emerge in un contesto di ingiustizia, e pregando si rivolge a Dio per affidare la propria causa: è un appello all’amore, una richiesta di risposta, di attenzione alla situazione vissuta. Pregare con le parole del Salmo aiuta a sentire la propria situazione come parte di una storia grande, ampia, come momento della relazione tra il Signore e gli esseri umani, a vivere con intensità quella fiducia nell’essere ascoltati che alimenta ogni preghiera e ogni dialogo autentico: anche se tutto appare perduto, la preghiera dà spazio a quella relazione d’amore che non viene meno e riapre, anche nel grido, il dialogo che chiama all’ascolto e alla risposta.