Qualcosa nell’aria ci avverte che siamo arrivati a una svolta decisiva: così deve essere stato per i discepoli che avevano seguito Gesù da Nazareth a Gerusalemme; così deve essere stato per la folla della città, sempre in attesa di un qualche promettente santone o profeta, capace di liberarla, adempiendo l’antica promessa del loro Dio; così è anche per noi, in questa quotidianità che ci travolge nel turbinio e nell’affanno di impegni lavorativi, familiari, affettivi e, perché no, anche liturgici.
Nella nostra esistenza c’è odore di stantio, di muffa, di aria pesante che soffoca! Sarà colpa di questo senso di sconforto che ci ha sorpresi in questi ultimi anni, periodo segnato dall’epidemia di Covid, da cui stentiamo a riprenderci; sarà per la ripresa di conflitti tremendi in aree geografiche vicine al nostro paese; sarà per questa guerra sotterranea tra generi, la quale infligge un alto numero di vittime tra le donne. Una depressione analoga e generalizzata doveva aver colpito anche la popolazione giudaica dell’epoca di Gesù, sempre alla ricerca di un messia, di un liberatore e salvatore, capace di rovesciare la sofferenza personale e collettiva di una nazione stanca dell’occupazione romana, in attesa di un rovesciamento politico, economico, sociale e culturale capace di rimettere in movimento l’insieme di una comunità umana desiderosa di ritrovare la direzione da imboccare per il proprio futuro.
Gesù si fa interprete di questa attesa e cerca di viverla e di comprenderla lui stesso nel suo cammino verso la città santa, predicando il Regno di Dio, calandosi nella realtà profonda di quelle esistenze. I suoi testimoni la reinterpretano alla luce di una promessa antica (cfr. Zaccaria 9, 9), rendendola plastica in questo racconto, dove una folla esultante accoglie finalmente il figlio di quella stessa promessa. Come i testimoni evangelici, anche noi, oggi, siamo chiamati a interpretare quella promessa, accogliendola come una sfida a sollevare per un attimo il nostro sguardo dall’incombenza di una quotidianità senza futuro, ma bloccata in un eterno presente, per lasciarci coinvolgere da una parola, un racconto, grazie ai quali possiamo intravedere un futuro diverso da quello che ci viene prospettato. Ma la speranza è che, proprio a partire da questo Gesù di Nazareth, trionfante in un giorno che precede la festa della Pasqua ebraica, si dia la possibilità di un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto e che conosciamo.
Non dobbiamo farci ingannare da questo trionfo messianico, così come non dobbiamo credere a ogni promessa del manipolatore d’occasione! Fermarsi con lo sguardo a questo momento della biografia narrativa di Gesù di Nazareth potrebbe risultare pericoloso, così come è pericoloso credere e fidarci di chi ci promette facili guadagni, di chi ha la ricetta giusta per guarirci dalle nostre malattie, di chi, addirittura, ha la potenza per liberarci dal demonio che devasta la nostra anima e la nostra vita. I facili trionfi sono spesso come una cortina fumogena, la quale ci impedisce di vedere cosa ci aspetta un passo dopo, alla svolta successiva delle nostre esistenze.
Alcuni dei discepoli di Gesù devono essere caduti anche loro in questa sorta di incapacità di vedere al di là della cortina fumogena del trionfo con cui il loro maestro è stato accolto dalla città perversa. Giuda avrà pensato che la conquista del potere era ormai vicina; Giacomo e Giovanni disputavano su come avrebbero interpretato il loro ruolo di guide del nuovo Stato giudaico; Pietro, come ogni entusiasta, un po’ superficiale, avrà fatto altri sogni. Eppure, per tre volte, a loro Gesù aveva spiegato l’inevitabile cammino che lo avrebbe portato alla croce!
Ecco, ricade sulle nostre spalle la responsabilità di comprendere che l’ingresso trionfale di Gesù di Nazareth non è la fine e il fine della promessa antica, ma solo l’inizio di un nuovo percorso, al termine del quale c’è la promessa definitiva della risurrezione, ma che conosce e attraversa l’esperienza della morte di Gesù sulla croce.