«Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!» (Giovanni 12,13)
Il 4 aprile 1968 – che quest’anno cade alla vigilia della Domenica delle Palme – veniva assassinato Martin Luther King, pastore battista e leader del movimento nonviolento per i diritti civili degli afroamericani. Ma anche leader pacifista nella protesta contro la guerra del Vietnam e gli interessi del sistema politico-economico legato all’industria bellica. Con le sue marce non violente e la sua predicazione sulla “forza di amare” egli voleva sconfiggere il razzismo che covava nel cuore degli uomini, e quindi della società , e anche la volontà di sopraffazione della violenza militare ed economica.
Quando il pastore valdese Tullio Vinay, a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, faceva apporre sul muro della chiesa all’aperto del Centro ecumenico di Agape (a Prali, in provincia di Torino), il versetto di I Corinzi 13 “l’amore non verrà mai meno”, indicava la forza più potente e definitiva per la conversione dell’animo umano, che bisognava praticare e non solo predicare.
Entrambi discepoli di quel Gesù che, in un momento di effimero entusiasmo popolare – come ci raccontano i vangeli in questa Domenica delle Palme – entra in Gerusalemme non da re conquistatore ma da “poverello”, a cavallo di un asinello, da predicatore non violento, araldo di quell’amore sovrabbondante della grazia di Dio, capace anche di perdersi e morire, pur di dare frutto e nuova vita (Giovanni 12,24-25).
Quella della Domenica delle Palme è quindi una gioia sì, ma velata da ciò che, nei racconti evangelici della Settimana Santa, avverrà da lì a pochi giorni (il tradimento e la condanna a morte del Venerdì Santo), fino a tornare a risplendere nella risurrezione della Domenica di Pasqua. Una Settimana in cui ci viene illustrata in sintesi la vittoria del bene sul male come frutto di una lotta immane in cui anche Dio è impegnato direttamente, con i suoi strumenti però, non con quelli tipicamente umani della forza e della violenza ma con quelli dell’amore e della convinzione che producono – questi sì – guarigione e salvezza.