“Preparate nel deserto la via del Signore, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio! (…) Ecco: il Signore, Dio, viene con potenza”
Nella grande “visione” storico-teologica del profeta Isaia non è sempre facile intuire chi prenda via via la parola. In questa scena è la “voce” di un messaggero qualunque a rispondere al ripetuto appello di Dio a consolare il suo popolo – probabilmente le famiglie dei notabili deportati decenni prima a Babilonia o le classi più umili sopravvissute in condizioni ben più penose nei dintorni di Gerusalemme distrutta – proclamandogli “che il tempo della sua schiavitù è compiuto, che il debito della sua iniquità è pagato”.
Cinque secoli dopo, secondo i vangeli, sarà Giovanni il Battista a identificarsi con quella “voce”, a farsi araldo della consolazione, della Bella Notizia della prossima venuta del Signore – Gesù, il Salvatore, il Liberatore per definizione – e dell’invito, nuovamente rivolto al suo popolo, a “preparargli la via” per accoglierlo, per andargli incontro cambiando mentalità e vita; uscendo dalla rassegnazione, dalla disperazione, dall’iniquità in cui, ancor più dell’oppressione dell’impero romano, l’aveva imprigionato la sua fede perduta.
“Ecco: il Signore, Dio, viene con potenza”. A scanso del più consumato dei pregiudizi sul Signore Dio d’Israele e di Gesù Cristo, non già col potere schiacciante di chissà quale esercito o di un regime opprimente sotto il quale non si muove foglia che Dio stesso non voglia, ma assai più efficacemente e semplicemente con l’onnipotenza nonviolenta e infinitamente paziente del suo amore che odia il peccato e giudica il peccatore, ma non cessa di adoperarsi alla sua liberazione; che rimette in piedi chi è caduto; che raddrizza chi è storto; che aggiusta ciò che si è rotto; che fa rifiorire financo il più arido dei deserti.