Le chiese statunitensi rinnovano il loro impegno all’accoglienza a oltranza, contro l’ondata di odio razziale.
Mercoledì 18 gennaio, presso la “Southside Presbyterian Church” di Tucson, si è tenuta una celebrazione ecumenica per riaffermare i principi di solidarietà e accoglienza. Così le chiese della città dell’Arizona hanno voluto rispondere ad un appello cui avevano precedentemente aderito più di settecento chiese in tutti gli Stati Uniti d’America. In occasione dell’insediamento a presidente degli Stati Uniti di Donald Trump le chiese hanno voluto riaffermare di essere “Sanctuary”, inteso come luogo d’asilo e di accoglienza per ciascuno/a.
Presenti, tra gli altri, rappresentanti delle comunità episcopaliane (le chiese anglicane americane), riformate, presbiteriane, unitariane (chiese libere di derivazione evangelica), pentecostali, metodiste. Immancabile il pastore John Fife che negli anni Ottanta, proprio nella chiesa che ha ospitato la celebrazione, ha accolto decine di immigrati messicani, opponendosi alla polizia che voleva cacciarli a forza. La nascita del movimento “Sanctuary” a favore dell’asilo ecclesiastico si fa risalire proprio a quei giorni.
Abbiamo sentito Randy Meyer, della chiesa “Good Shepherd” di Sahuarita-Green Valley, da anni impegnata nel sostegno ai migranti che attraversano la frontiera a poche miglia dalla sua cittadina: “Riaffermare oggi i principi del movimento ecclesiastico Sanctuary significa ricordarci che Gesù Cristo ha accolto chiunque, anche in contrasto alle tradizioni di allora: una chiesa Sanctuary è una comunità capace di denunciare la grettezza e l’ipocrisia delle leggi. Una chiesa capace di andare contro una società che vuole le donne, gli omosessuali, i migranti ai margini. Siamo estremamente preoccupati da quest’ondata di odio che monta negli Stati Uniti. Anche se la nuova amministrazione dovesse inasprire le politiche di contrasto all’immigrazione, continueremo nel nostro lavoro”.
Di seguito la dichiarazione congiunta letta in occasione della celebrazione:
Questa sera siamo qui raccolti tra comunità di fede in terra di frontiera per riaffermare il nostro impegno a favore della giustizia, dell’amore e della pace.
Addolorati da amici e vicini persi nel deserto, in quello stesso deserto marciamo portando acqua.
Avendo visto madri e padri imprigionati per la sola colpa di aver desiderato una vita migliore, invochiamo la loro scarcerazione.
Avendo visto coi nostri occhi il potere distruttivo di muri e checkpoint, abbiamo costruito ponti tra le nostre comunità e siamo divenuti luoghi di asilo.
In questo tempo di crescenti paure, ansie, odi e persecuzioni, vogliamo riaffermare i durevoli principi delle nostre tradizioni di fede: compassione, misericordia e giustizia.
Più si chiede di bloccare i rifugiati, tanto più apriremo le nostre porte;
più l’ondata di odio si trasforma in violenza, tanto più la contrasteremo con i nostri corpi;
più si lavorerà alla separazione delle famiglie, più la ostacoleremo.
Contro le paure, ci impegniamo al coraggio.
Contro l’odio, all’amore;
contro l’ostilità , all’accoglienza radicale.