Il 9 e il 10 gennaio, su iniziativa della Chiesa evangelica della Renania, si è svolta a Bad Neunahr – non lontano da Colonia – una conferenza internazionale sul tema delle migrazioni internazionali.
All’incontro – svoltosi nei giorni immediatamente precedenti il Sinodo annuale di questa importante chiesa regionale che ha rapporti storici con la Chiesa valdese – hanno partecipato delegati fraterni provenienti da vari paesi dell’est (Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca, Ucraina, Polonia, Romania), dal Belgio e dall’Italia.
I lavori sono stati arricchiti da una approfondita relazione teologica a cura di Jürgen Ebach, docente di Antico Testamento presso l’università di Bochum. Senza indulgere in facili attualizzazione del testo, il relatore ha offerto una lunga serie di riferimenti biblici che attestano come i temi delle migrazioni, del rapporto con lo straniero e della convivenza nella diversità delle tradizioni culturali siano “questioni centrali che attraversano tutta la Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse”.
Ma è sull’attualità e sulle misure da adottare per gestire la “crisi migratoria” di questi mesi che lo scambio è stato particolarmente vivace. A questo riguardo, si è avvertita netta e dolorosa la diversità tra l’approccio delle chiese dell’Europa occidentale – a iniziare da quelle evangeliche della Renania, impegnate in prima fila nell’accoglienza ai profughi – e quello delle chiese dell’Est. Se da una parte, infatti, si moltiplicano le esperienze di accoglienza e si auspicano politiche di apertura e di integrazione dei migranti, in paesi come Ungheria, Slovacchia, Polonia si denuncia il rischio di un “collasso dei valori tradizionali dell’Europa e dei singoli paesi che la compongono, di fronte a una islamizzazione che deve essere temuta e fermata”. Da qui ad esempio la proposta – condivisa da alcuni rappresentanti delle chiese evangeliche dell’Est Europa – di una accoglienza “selezionata” su base confessionale, che escluda migranti e profughi musulmani.
“Si tratta di ipotesi giuridicamente inaccettabili, teologicamente insostenibili e cariche di pregiudizio – commenta Paolo Naso, che nella Conferenza rappresentava le Chiese valdesi e metodiste e il progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI) – che però esprimono un sentire diffuso in tutta Europa e che noi stessi avvertiamo in Italia. Certo, ci fa male sentirle espresse da leader di chiese sorelle ma è anche vero che poi, alla base, qualcosa si muove e credenti e comunità locali finiscono per partecipare ad alcuni progetti di accoglienza. Come altre volte è accaduto – conclude Naso – non dobbiamo rinunciare alle nostre convinzioni e alla nostra azione che oggi si esprime in Mediterranean Hope ma neanche alla speranza di convincere chiese sorelle ad assumere un altro punto di vista e un’altra prospettiva di servizio”.
Grande attenzione è stata riservata all’azione in Italia dove, con i “corridoi umanitari” aperti dalla FCEI in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio nel quadro di un accordo con i ministeri dell’Interno e degli Affari esteri, si sperimenta una via di accesso sicura e legale in Europa.
Posizioni diverse, quindi, ma ancora voglia di capirsi e di confrontarsi.
È in questa prospettiva che il präeses della Chiesa evangelica della Renania, Manfred Rekowski, ha annunciato che il confronto continuerà in una nuova conferenza che avrà luogo in Ungheria e cioè in uno dei paesi dell’Unione in cui con maggiore durezza e fermezza hanno prevalso politiche di chiusura e di respingimento dei profughi.
11 gennaio 2016