Dio dona ad Elia la forza per risalire dal baratro in cui era precipitato
«Lassù Elia entrò in una spelonca, e vi passò la notte»
I Re 19, 9
I grandi personaggi biblici, nel corso dei secoli, sono assurti a simboli di valori che hanno certamente influenzato, al di là dell’aspetto religioso, concezioni politiche, culturali, istituzionali. Non sono figure astratte. Eroi che nella loro purezza e nella loro vicenda sono stati mossi, a volte, da impulsi violenti, da crolli psicologici. Eroi fragili che hanno avuto bisogno di aiuto più ancora dell’aiuto che sono riusciti a dare. Questa contraddittorietà umana, molto concreta, rende le pagine bibliche coinvolgenti. Perché parlano di noi, di quel su e giù che caratterizza spesso la vicenda umana.
Non ho lo spazio di ripercorrere la vicenda di Elia ma almeno un aspetto vorrei sottolinearlo. Nella sua missione profetica Elia sente d’aver fallito al punto tale da desiderare di farla finita. Si rivolge a Dio chiedendogli di poter morire. In realtà Dio gli darà la forza di proseguire ancora per un po’ di tempo. Quel male oscuro che lo dominava riappariva sempre e di nuovo. Salì su una montagna e si nascose in una grotta. E Dio lo raggiunse chiedendogli «Che fai qui?». Elia cerca di spiegare i motivi del suo fallimento nell’opera di demolizione dell’idolatria in cui ha creduto come un difensore, un guerriero di Dio che svolge la sua guerra giusta. Contro i nemici del Dio di Abramo, di Mosè…la furia omicida di Elia non ha risolto il problema.
Dio glielo fa capire rivolgendosi a lui, non nella potenza capace di annientare i nemici, ma con la dolcezza di un suono sommesso. L’invito che Dio gli rivolge è di riprendere il cammino fino al giorno in cui potrà affidare ad un altro quello stesso compito antiidolatrico che ormai, per lui, è diventato insostenibile. È la storia di un fallimento da cui si può ripartire. Ma da solo non ce la fai. Dio darà ad Elia la forza per risalire dal baratro in cui era precipitato. La sua storia può essere la nostra.
