Tre giorni di incontri, dibattiti e solidarietà a Varsavia, organizzati dalla Conferenza delle chiese europee (Kek) per parlare del conflitto fra Russia e Ucraina
Il Consiglio ucraino delle chiese e delle organizzazioni religiose è stato fra i protagonisti di una consultazione europea sulla pace giusta, tenutasi a Varsavia, in Polonia, dal 9 all’11 dicembre.
Il pastore Anatolyi Raychynets, vicepresidente del Consiglio ucraino delle chiese e vicesegretario generale della Società biblica ucraina, ha riflettuto su come le chiese ucraine percepiscono il concetto di pace giusta. «Per oltre mille giorni, il nostro popolo ha difeso coraggiosamente la propria patria, le proprie case e il diritto alla vita», ha affermato. «Ogni giorno è un miracolo!».
La consultazione, che fa parte dell’iniziativa Pathways to Peace della Conferenza delle chiese europee (Kek), si è svolta in collaborazione con il Consiglio ecumenico polacco. Una consultazione guidata dal versetto biblico, “Scorra piuttosto il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne”, Amos 5:24. Raychynets ha spiegato come, ogni mattina, il popolo ucraino inizi il nuovo giorno con un momento di silenzio: «Ogni mattina alle 9 ci fermiamo, restiamo in silenzio e pensiamo in preghiera al dolore delle perdite che stanno aumentando. I nostri fratelli e sorelle hanno dato la cosa più preziosa che avevano, la loro vita, affinché noi e voi potessimo vivere». Raychynets, che presta servizio come cappellano volontario, era presente al funerale di un soldato, il cui giovane figlio aveva più o meno la stessa età del figlio di Raychynets. «E quando la bara è stata calata, questo ragazzo è saltato nella tomba, da suo padre» ha ricordato Raychynets. «Ha pianto amaramente e non riusciva a lasciare andare il suo caro papà. È tutto estremamente doloroso». Il pastore ha anche condiviso alcune statistiche che fanno riflettere: più di 12 milioni di persone hanno perso la casa e sono diventate sfollate. Più di 8 milioni di famiglie sono state separate per oltre 1.000 giorni. «I mariti sono rimasti per difendere le loro case, mentre mogli e figli sono diventati rifugiati in diversi paesi del mondo. Non dimenticherò mai la concentrazione di dolore, lacrime e paura dell’ignoto che ho provato alla stazione ferroviaria di Kiev, dove stavamo caricando donne con bambini e anziani sui treni di evacuazione che, salvando milioni di vite, si dirigevano verso l’ovest del nostro paese».
Raychynets ha descritto di aver visto il «mondo russo» arrivare nei territori dell’Ucraina. «Edifici ecclesiastici presi per le esigenze dell’esercito russo, divieto di tenere culti religiosi, clero ucciso, torture. Pertanto, noi, come ministri della chiesa, chiediamo qualcosa che non è tipico dei pastori: chiediamo di aiutare l’Ucraina con armi e tutto il necessario affinché le forze di difesa dell’Ucraina possano proteggere le vite dei bambini, delle donne e di tutte le persone, perché sono venuti per ucciderci».
Questo, ha detto Raychynets, è ciò che significa per lui una pace giusta. «Esattamente una pace giusta è quando il male viene punito e la giustizia viene ristabilita». Oltre al pastore Anatolyi Raychynets, la delegazione ucraina includeva anche il vescovo Stanislav Nosov, presidente della locale Chiesa avventista e il dottor Serhii Shumylo dell’ Institute for Religious Freedom di Kiev.
Il primo giorno di questa Consultazione europea è stato dedicato ai fondamenti del concetto di pace giusta – un’eco del tradizionale concetto cristiano di guerra giusta, sviluppato tra gli altri da Tommaso d’Aquino. Aprendo la giornata, il professor Neal Blough, franco-americano, è tornato alle radici bibliche di questo concetto: «Tradurre la nozione ebraica di shalom con la parola pace è del tutto riduttivo. Shalom non è solo assenza di conflitti, ma significa che l’intero popolo vive bene e prospera». Non può dunque esserci pace senza giustizia, ha sottolineato, riprendendo le parole del Salmo 84: «pace e giustizia si abbracceranno.»
«Questa Consultazione – racconta il pastore Gérald Machabert dell’Unione delle chiese protestanti di Alsazia e Lorena, è infatti la prima nel suo genere, su scala del continente europeo, tra rappresentanti di Chiese di diverse confessioni, ad osare affrontare la questione della pace nel contesto post-invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Delegati dell’Ucraina rappresentano quasi un quarto dei partecipanti presenti in loco, sottolineando la grande attesa che hanno nei confronti della solidarietà da parte degli altri cristiani del continente. Il professor Fernando Enns, docente di teologia della pace nei Paesi Bassi e in Germania, e da lungo tempo impegnato in diverse commissioni del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), è tornato sullo sviluppo di questo concetto di pace proprio all’interno del movimento ecumenico. Sottolineando che la questione della pace era già centrale fin dai primi dibattiti del movimento ecumenico tra le due guerre mondiali. Ma, naturalmente, il movimento per la riconciliazione tra le Chiese dopo la seconda guerra mondiale ha sottolineato ancora più fortemente questa centralità, come affermava la dichiarazione di chiusura dell’Assemblea di Amsterdam nel 1948: «la guerra è contro la volontà di Dio».
È stato nel quadro del processo conciliare Giustizia, Pace e Integrità del Creato, avviato durante l’Assemblea del Cec a Vancouver nel 1983, che sono emersi gli inizi del paradigma della pace giusta: «non è solo l’assenza di conflitto, – prosegue il pastore Machabert – è l’irrevocabile volontà di Dio per il mondo. Il concetto ha preso forma nel mondo post-Guerra Fredda, in particolare all’Assemblea del Cec del 2006 a Porto Alegre, in dialogo con il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. Il perdono è possibile ovunque: ripercorrendo la storia del rapporto della teologia cristiana con la questione della guerra e della pace e poi l’evoluzione del concetto di pace giusta nelle relazioni internazionali a partire dall’inizio degli anni 2000, la professoressa Christien Schliesser, dell’Università di Friburgo, ha inoltre portato esempi concreti di esperienze sul campo a cui ha potuto assistere. Citando il collega e amico Christophe Mbonyingabo, sopravvissuto al genocidio ruandese, e l’opera di riconciliazione che svolge a stretto contatto tra genocidari e vittime: “se il perdono è possibile in Ruanda, è possibile ovunque”».
Dall’Italia era presente la pastora valdese Letizia Tomassone.
Nella foto di Łukasz Troc/KEK: Rev. Anatolyi Raychynets