Nel giorno in cui la città si è fermata per alcune ore (letteralmente: molti mezzi pubblici non funzionavano o cambiavano percorso) per la visita di papa Francesco, si è tenuta una bella riflessione sull’attività catechetica delle nostre chiese a 500 anni dalla Riforma. Il catechismo, del resto, non solo è il percorso attraverso cui si entra a far parte della chiesa, ma è anche lo strumento con cui la chiesa si assicura il passaggio della propria fede e delle proprie concezioni alla generazione successiva. È perciò materia di grande delicatezza e importanza. Su quale eredità di questi 500 anni possiamo ancora contare? In quale modo il clima culturale e interculturale influisce sul nostro messaggio? Di quali nuovi strumenti occorre fornirci? Questi i punti principali su cui verteva la giornata organizzata dal VI Circuito (Lombardia) delle chiese metodiste e valdesi.
Il professor Sergio Rostagno ha aperto i lavori con una relazione sul tema della giustificazione per fede come base del catechismo di Lutero, ovvero: «Scusi Dottor Lutero, perché dovrebbe aver ragione solo Lei?». Dopo aver spiegato le basi del pensiero del riformatore, il punto focale della relazione, la ragione per cui oggi il messaggio di Lutero ci parla a 500 anni di distanza – e merita ancora di essere trasmesso dalle nostre chiese – è il tema della libertà del cristiano: “libero signore su ogni cosa, e al contempo umile servo di tutti”. Fides e caritas non si devono confondere: la fede deve bastare a se stessa ed è appunto il fattore liberante, che consente l’accesso alla Grazia divina, o a una vita piena di senso – come diremmo oggi – di per sé. La caritas, ovvero l’amore fraterno, le opere – detto altrimenti – è misurata invece dal prossimo, e “Dio ne attende il responso”, come ebbe a dire Lutero in uno dei suoi sermoni.
La relazione del pastore Massimo Marottoli è stata invece incentrata sull’attuale argomento della post-verità , e sull’autorevolezza – minore o maggiore – dell’insegnamento della chiesa in quest’epoca da essa contrassegnata: la premessa è stata, anzitutto, che la post-verità è un processo a bassa intensità logica, in quanto dà più rilievo all’emotività che alla corrispondenza dei fatti oggettivi. Di conseguenza si rende necessaria oggi per una chiesa cristiana, e in particolare protestante, formare i propri membri (e perché no, anche coloro che non lo sono ancora, nel suo mandato al discepolato) a una riflessione critica, a una “fede adulta” – che esprima tutta l’etica evangelica dei discepoli e delle discepole di Gesù come soggetti pensanti, che si sanno confrontare con altri pensieri e altre etiche. Potremmo dire che, come nel passato, in epoca di analfabetismo, era compito percepito fortemente come suo, dalla chiesa valdese, quello di insegnare ai propri membri a leggere e scrivere, così oggi insegnare a esercitare l’etica del pensare evangelico è importante, nell’epoca della post-verità , per essere davvero discepoli che rispondono al mandato di Gesù.
Nel pomeriggio la pastora Ulrike Jourdan ha guidato i presenti (una ventina di persone, purtroppo non molti – ma certo “pochi ma buoni”) in un “laboratorio” pratico, centrato sull’uso dei nuovi materiali a disposizione delle chiese per il catechismo a 500 anni dalla Riforma. La pastora ha portato l’attenzione dei presenti sulla necessità di tenere conto delle modalità di fruizione dei nativi digitali, che spesso si basa su legami ipertestuali, “circolari” e non più lineari. In questo contesto è ovviamente vitale educare i giovani in particolare, alla scoperta e alla verifica, senza accontentarsi delle informazioni più gettonate, o potremmo dire, “cliccate” in rete – spesso quelle che suscitano più interesse e più emozione.
La conclusione è stata sull’importanza di tenere insieme la necessità di parlare al cuore e alla mente congiuntamente, compito che le chiese protestanti in Italia – metodiste e valdesi – devono saper fare proprio: l’approccio argomentativo, critico e razionale non può non tenere conto della dimensione emotiva della persona, cioè quello che sa toccare il cuore, per rispettare appieno la grande responsabilità dell’annuncio che il Signore ci ha affidato.