«Ricordo infatti la fede sincera che è in te, la quale abitò prima in tua nonna Loide e in tua madre Eunice, e, sono convinto, abita pure in te.»
Non è da molto che è mancata la figlia di un importante pastore, autorevole protagonista di un pezzo di storia dell’evangelismo italiano. La famiglia di lei, non praticante, ha deciso di fare il funerale in chiesa cattolica per semplice praticità . Alla fine tutto è andato bene, anche grazie al parroco, il quale ha affrontato la cerimonia con un’encomiabile sensibilità ecumenica.
Alla luce di questo e di numerosi fatti analoghi, però, mi è rimasta una domanda: ha ancora senso la nostra presenza di evangelici in Italia? Abbiamo una fede specifica da testimoniare? Troppo sovente, infatti, ho la sensazione che per molti, anche tra di noi, il protestantesimo non sia altro che una versione aperta e moderna del cattolicesimo, per cui, soprattutto con un papa come Francesco, ogni distinzione pare pretestuosa.
Da teologo posso trovare mille motivi per difendere l’originalità e la ragion d’essere della fede protestante, ma mi chiedo quanti, magari tra i discendenti delle famiglie che hanno costruito l’evangelismo italiano, ne condividano anche solo uno. Temo che siamo ancora prigionieri della logica per cui il protestantesimo è un “non cattolicesimo” ed è forse per questo che troppo sovente i figli e i nipoti di chi usava sedere regolarmente tra i nostri banchi sanno a mala pena chi siamo e sfugge loro il senso della nostra scelta di fede, facendo apparire quasi ironiche le parole dell’apostolo citate in apertura.