“Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da pretese ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, come se il giorno del Signore fosse già presente”
Difficilmente, quando riflettiamo su che cosa sia centrale per la nostra fede cristiana, il pensiero corre ai tempi di cui parlano i versetti biblici su cui ci soffermiamo oggi. Noi cristiane e cristiani confessiamo anche con le parole del Credo la nostra attesa per il futuro ritorno di Cristo, ma difficilmente ci soffermiamo su questo aspetto, né ci sembra così importante da considerarlo possibile causa di separazione fra di noi.
Ben vengano dunque parole come quelle di questa lettera che ci costringono a guardare avanti, che ci ricordano che una fede rivolta solo al presente, una fede che rinuncia alla speranza non è fede.
Ricordando l’atteso giorno del Signore l’apostolo avverte di come sia facile equivocarne il senso: per strano che possa sembrare, questo annuncio può diventare addirittura uno strumento di potere, quando chi lo porta afferma di esserne anche protagonista; la nostra storia recente è fin troppo ricca di capi di vario genere che affermano la propria messianicità, che presentano loro stessi come gli inviati di Dio e dunque la loro opera come l’affermazione del giorno del Signore sulla terra.
L’unico antidoto, ci ricorda l’apostolo, è ricordare costantemente che, essendo ciò che attendiamo il giorno del Signore, questo è appunto del Signore, saldamente nelle sue mani e noi lo viviamo non come una nostra conquista, ma come un dono della grazia di Dio che ci raggiungerà quando e come il Signore stesso vorrà.