«Noi tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male»
Gesù ha parlato del seme che, caduto in un buon terreno, cresce e porta un frutto abbondante. Principalmente parlava della sua opera, ma ne parlava ai discepoli e alle discepole, che voleva associare alla trasformazione che stava compiendo e che sembrava un debole inizio, sul punto di essere soffocato dall’opposizione di chi non tollerava cambiamenti nell’ordine religioso e sociale.
Quell’inizio ha profondamente a che fare con la nostra vita. C’è un inizio vitale per ognuna e ognuno di noi. Non siamo noi ad avviarlo. Non siamo noi che possiamo iniziare una vita perfettamente adeguata a ciò che Dio vuole da noi. Con le mie azioni dovrei riuscire a mettermi perfettamente in regola con le esigenze del Padre che mi ha chiamato all’esistenza? L’inizio è compiuto da Gesù; il passo verso l’incontro pieno con Dio, senza ombre e senza riserve, è iniziativa sua. È però un’iniziativa inclusiva, perché Dio, nella sua bontà , fa sì che io mi senta coinvolto o coinvolta in quell’inizio e in quel passo.
Non si tratta di mettersi a posto davanti a Dio; si tratta di sapere qual è il nostro posto nell’opera in cui Gesù ci coinvolge. A metterci a posto pensa Gesù. Per noi si tratta di lasciarci indicare il posto e di occuparlo nel migliore dei modi. Non in un modo qualsiasi, non a casaccio, non pensando ad altro. Dio pensa a quello che facciamo, vigila amorevolmente, non gli è indifferente se facciamo una cosa bene o male. Di che tipo sarà la retribuzione? Non lo sappiamo. Ci basta sapere che la vita è una faccenda seria; non sarà buttata tra gli scarti ma sarà valutata. Sarà anche questo un segno dell’amore di Dio.