«Noi tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male»
Questo giudizio è sulla persona nel corpo dei corinzi e nel nostro. Il giudizio di Cristo prima di tutto non è un pregiudizio. Non che cosa pensi tu, non che cosa avresti voluto essere, diventare, fare, no. Il giudizio del tribunale di Cristo è su ciò che hai fatto quando eri nel corpo, sulla tua persona, su chi sei tu. Fa paura? A tanti ha fatto e fa paura. Il pensiero del tribunale di Cristo, che giudica le nostre vite, fa paura, o quantomeno reca preoccupazione e disagio? Siamo chiamati da prima della nostra nascita a far parte di un progetto eterno. In questa nostra vita, qui sulla terra abbiamo conosciuto il Signore, siamo stati sostenuti e consolati in tutte le nostre sofferenze, nel nostro tempo siamo stati formati, preparati per un’eternità di gloria. Questa è la nostra vita che il Signore giudicherà . Ciò che siamo, non ciò che diciamo o che crediamo di essere. Giudicherà chi siamo veramente. Solo lui può farlo.
Ma c’è di più, e di più importante. La nostra fiducia davanti al giudizio non è determinata dalla nostra presunzione di innocenza, ma dalla nostra sperimentata conoscenza della clemenza della corte. Il Catechismo di Heidelberg, il più importante catechismo riformato del XVI secolo, alla domanda 52 dice: In che ti consola il fatto che Cristo “ha da venire a giudicare i vivi ed i morti”?
Risposta: In quanto che, in ogni tribolazione e persecuzione, a testa alta, attendo dal cielo proprio quel Giudice che si è prima offerto al mio posto al giudizio di Dio, ed ha rimosso da me ogni maledizione, perché getti a maledizione eterna tutti i nemici suoi e miei; ma assuma presso di Sé nella gioia e gloria celeste, me, insieme con tutti gli eletti.
Il credente attende di essere chiamato nell’aula del suo giudizio a testa alta, con responsabile umiltà e con piena fiducia nella garanzia che il Giudice stesso ha offerto per lui.