«Fratelli, voi ricordate la nostra fatica e la nostra pena; infatti è lavorando notte e giorno per non essere di peso a nessuno di voi, che vi abbiamo predicato il vangelo di Dio»
Un versetto che in tempi di ristrettezze economiche ci rivolge molte domande e che apre a diverse tensioni.
La libertà della predicazione e l’orgogliosa indipendenza economica delle nostre chiese viene posta di fronte ai costi degli stabili, della formazione, e delle necessità di vita dei diversi stipendiati.
L’indipendenza della predicazione viene interrogata dalla presunzione di poter essere davvero libera solo quando l’annuncio del vangelo non viene finanziato dai membri di chiesa o dai cittadini di uno Stato. Paolo sentiva la necessità di ancorare parte della propria autorità nel non essere confuso con altri predicatori itineranti che si facevano mantenere dalle persone che erano interessate a ciò che dicevano.
Oggi, nella maggior parte della cristianità , coloro che predicano in maniera regolare vengono in modi diversi salariati dalla chiesa di appartenenza, ma altri modelli esistono, pur nelle loro contraddizioni e negli eccessi a volte di un leaderismo dove prevale, forse, la parola di chi ha più tempo, un lavoro più sicuro o qualcuno che lo mantiene.
Le necessità quotidiane pongono, io credo, ciascuno e ciascuna di noi di fronte alla domanda su come, e in che contesto, predichiamo. Il tempo forse oggi più che il denaro, lo spazio della nostra vita che dedichiamo a Dio e alla sua chiesa, è ciò che veramente manca. Per poter ripensare a come organizzare la chiesa e la predicazione del vangelo di Dio è necessario però, e in questo Paolo credo avesse ragione, avere la serenità economica di poter compiere scelte che incidono sulla gestione del tempo, senza avere l’ansia di non avere più risorse economiche.
La sfida di questa parola ci resta di fronte e sta a noi riformulare delle possibili soluzioni in questo tempo di crisi.