“Gettate su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi”
Di che cosa ci preoccupiamo? Lungo le fasi dell’esistenza ci preoccupiamo di apparire nella migliore luce, di superare un esame, di uno sfratto o licenziamento, di perdere una causa, di una malattia terminale – in fondo, citando Gesù, è “ansia per la vita”, o peggio, un “essere per la morte”, nelle parole di un filosofo.
I cristiani cui è indirizzata questa Lettera di Pietro, considerati nemici di Cesare, affrontano una politica imperiale ostile: ritenuti atei e sovversivi, nel seguire le orme del loro Signore risorto, effettivamente lo sono. Le loro ansie sono più che giustificate, basti leggere le lettere di Plinio all’imperatore Traiano sul trattamento da riservare a queste comunità dell’Asia Minore, lettori di Prima Pietro, esortati dalla voce apostolica a non vergognarsi del Cristo crocifisso, che è davvero il Signore eccelso del cielo e della terra, e che ha vinto le potenze totalitarie della storia. L’imminente persecuzione fornisce un contenuto realistico al Salmo citato “Getta sul Signore il tuo affanno”. Se riconosciamo la sovranità di Dio, lasciamo a Dio anche la risoluzione delle nostre ansie. La libertà dall’ansia non dipende dalle circostanze ma dalla fiducia in Dio padre e madre.
Non è così facile. Dio si preoccupa di noi. Le ansie non se ne vanno per il semplice fatto di condividerle con Dio, ma perdono il loro carattere totalizzante e divino che ci opprime: siamo noi a possederle invece di essere loro sudditi. Neghiamo il culto all’imperatore e di conseguenza alle nostre ansie.
In questa prova-tentazione è in gioco l’abbandono della nostra fede. La speranza cristiana non riposa sulle circostanze ma sul Dio della grazia, che non lascia l’orizzonte aperto al fato, bensì alla sua libera sollecitudine per l’umanità .