«Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.»
Una delle caratteristiche del Protestantesimo è l’affermazione del sacerdozio universale dei credenti: fin dall’inizio è stata rifiutata con forza la distinzione tra un clero ordinato e il resto del popolo di Dio, nella ferma convinzione che a ciascuno e a ciascuna sia stato affidato l’Evangelo, annuncio della riconciliazione, acquistata a caro prezzo, tra l’umanità peccatrice e il Signore.
Se, però, il sacerdozio ordinato è uscito dalla porta, rientra dalla finestra ogni volta che in comunità si torna ad una mentalità della delega, al pastore in primis. Delle idee biblicamente rivoluzionarie dei Riformatori, allora, rimane solo il fraintendimento per cui “sacerdozio universale” vorrebbe dire che chiunque può salire sul pulpito e predicare.
Ogni volta che noi, singoli individui, non viviamo l’annuncio dell’Evangelo come una nostra responsabilità , rinneghiamo uno dei pilastri della Riforma. Come potremmo, allora, dirci ancora protestanti? Noi, stirpe eletta, siamo chiamati ad essere attori nel piano di Dio, non spettatori.
Queste parole della lettera di Pietro ci esortano a riscoprire questa vocazione rivolta ad ogni credente, ricordandoci che, se ne ritroveremo la bellezza, torneremo al piacere di evangelizzare, facendoci portatori di quella luce che ci chiama fuori dalle tenebre alla vita nuova in Cristo.