Un ministero disciplinato e ordinato, fedele. Tre costanti che hanno guidato come un faro la vita del pastore Giovanni Lento e, di conseguenza, hanno rappresentato le caratteristiche del suo ministero. Un’identità nella quale emergeva la coscienza che il servizio della predicazione, della relazione d’aiuto, della formazione e di ogni altro aspetto della vita delle nostre chiese, vada temprato nell’autocontrollo del proprio sé. Giovanni ha avuto il dono di essere un mite.
Come altri della sua generazione proveniva dalle file del ministero cattolico. Era nato nel 1926 a Banchi (Cosenza), la terra dove operò Gioacchino da Fiore. Entrato nella chiesa metodista, compie il normale corso di studi alla Facoltà valdese di Teologia dal 1959 al 1963 (allora non si riconoscevano altri gradi accademici), poi il periodo di prova a Palermo dove incontra Anna Alecci di Bagheria. Dal loro matrimonio nasceranno due figli. È poi a Roma – via XX Settembre. Consacrato nel 1966, è trasferito a Firenze – via dei Benci (1973-1981).
Sono gli anni del consolidamento per l’Unione delle chiese metodiste e valdesi. Giovanni cura la chiesa valdese di Siena, e poi conduce un lungo ministero in Sicilia: Messina, Reggio e i gruppi di Pagliara e Rocchenere, fino all’emeritazione nel 1996. Diversi gli incarichi ricoperti negli organismi e commissioni sia precedenti sia dopo l’integrazione: membro del Comitato permanente Cemi (oggi Cp/Opcemi), sovrintendente del X Circuito; membro della Commissione studi Sps-metodista).
Ho conosciuto il pastore Lento quale pastore di riferimento all’inizio del mio periodo di prova. Pur non avendo la possibilità di consegnarne un ritratto più ampio, sono certo che emerge qualche cosa della sua personalità . Al mio arrivo a Catania, concordammo di incontrarci a Scicli, perché egli era in vacanza nei dintorni con la famiglia. Giovanni mi attendeva all’autobus vestito in impeccabile eleganza, e il colloquio avvenne sotto un grande carrubo, con un caldo torrido. Solo dopo che fu avviata la conoscenza Giovanni, su mia insistenza, decise di ripresentarsi in abiti più casual. Capii fin da quel momento che era qualcuno che “sa ascoltare”. Ogni nostra incontro si concludeva con la condivisione di un pasto generoso, secondo la tradizione dell’isola nella sua famiglia accogliente, oltre alla moglie Anna, il figlio Marco e a volte la figlia Maria Cristina.
Sul tavolino che mi separava dalla sua poltrona nel suo studio a Messina, dove mi recavo periodicamente, trovavo depositate delle riviste di elettronica, interesse che Giovanni coltivava da tempo, anche come radioamatore. Non mancherà di tenersi aggiornato, con curiosità e competenza, su tutto quanto le nuove tecnologie offrivano.
Nelle nostre conversazioni gli accenni ai suoi interessi teologici (la formazione del Nuovo Testamento in particolare) sono sobri. Le risposte alle mie domande partivano dalla sua esperienza ma non pregiudicano la situazione che il candidato doveva affrontare. Il dialogo diventa fecondo quando l’interlocutore è posto in una posizione di non svantaggio, in una reciprocità che riconosce lo spazio dell’interlocutore senza invaderlo, in un rispetto profondo e con la trasmissione del proprio vissuto solo come una indicazione possibile che potrà essere liberamente ripercorsa dal giovane collega. Per me Giovanni è stato un maestro discreto, il suo riferimento è stato fondamentale. La lezione più preziosa da lui ricevuta può essere così riassunta: «nel terminare un periodo di attività in una chiesa – mi disse – bisogna essere consapevoli che sia veramente una pagina conclusa. Non mi faccio determinare da quello che accade dopo la mia partenza. Resta, con i membri di quella chiesa, la comunione vera e profonda, questa sola ci deve bastare». Una coscienza chiara della libertà nel ministero pastorale. Intanto Giovanni Lento diventa ancora pastore di riferimento per il suo successore, il pastore Jens Hansen, al quale si legherà con stima profonda e rinnovata disponibilità , pronto a dare una mano se necessario, ma sempre un passo indietro.
Nella sua ultima predicazione alla Chiesa valdese di Messina, su Apocalisse 1, 9-18, tenuta in occasione dei suoi novant’anni, così riassumeva il messaggio dell’Evangelo: «E il Cristo risorto, Colui che è vivente nei secoli dei secoli, adempie a questa funzione: ci fortifica nella fede, ci sostiene nella morte, illumina e rende certa la nostra speranza».
Tratto da Riforma del 30 aprile 2021