ArticoliIl Vangelo ci parla

Giovanni 5, 4b

«Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede».

Presunzione? Orgoglio? Forse dovremmo abbassare i toni. Soprattutto in tempi in cui pare sia vero il contrario, cioè che il mondo vinca la nostra fede. Non c’è motivo per gridare vittoria. Dobbiamo imparare ad abbassare noi stessi, e ascoltare. Questa è la nostra fede.
Non è né orgoglio né presunzione, perché non è un vincitore né ricco né potente, ma qui parla un fratello di una piccola comunità , minacciata, perseguitata. Qui ascoltiamo la voce di un vinto dal mondo. Uno che ha le sue origini nel mondo dei vinti.

Perché ce lo dice? Per ricordarci quant’è importante e preziosa la nostra fede. Ciò a cui noi diamo spesso poca importanza. Ciò che ha perso voce. Ciò che è piccolo e debole. Sconfitto. Vinto dal mondo.

Il fratello Giovanni dà  importanza a coloro ai quali il mondo la nega. In questi giorni è davanti agli occhi di tutti: gli immigrati vengono controllati nei minimi dettagli, ma chi ha il coraggio di controllare, di vigilare sui potenti quali quelli dell’industria automobilistica o siderurgica?
Il fratello Giovanni dà  valore, dignità  a tutti coloro ai quali l’abbiamo negata. Ci ricorda che abbiamo qualcosa di più importante, di più grande e di più prezioso del mondo intero: la nostra fede.

La stessa parola diventa una fortissima consolazione e motivazione, se non penso a me stesso e la mia fede, ma a colui che ha detto come ultima parola prima della crocifissione: Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo (Giovanni 16,33). Poi ci lascia e ci lascia il suo Spirito consolatore.
E lo Spirito consolatore che ci ricorda tutto quello che Gesù ha detto, l’ha ricordato agli allievi della scuola di Giovanni che, a sua volta, lo ricorda a noi.

Ecco, perché qui non parla lo spirito dell’orgoglio, ma lo Spirito consolatore. Perché la fede che vince il mondo, in fondo, non è mia – né la mia convinzione né il mio sentimento. La fede che vince il mondo è la sua, la sua fiducia che pone in noi.
Una fiducia, non quella orgogliosa che crea vittime, ma che si abbassa per ascoltarle e ad amarle come egli le ama.

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