«Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché IO LO SONO. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.»
Iniziamo un ciclo di riflessioni sui passi dell’Evangelo dove si trova la dichiarazione di Gesù: “Io sono…”
Gesù è a tavola con i suoi discepoli per il pasto pasquale: quello che la tradizione cristiana chiama comunemente “l’ultima cena”. Hanno appena iniziato, quando Gesù si alza e si mette a lavare i piedi ai discepoli: un gesto che li coglie di sorpresa, e che provoca una vivace reazione di Pietro, che Gesù vince a fatica.
Lavare i piedi agli ospiti era un gesto di accoglienza che i padroni di casa facevano compiere dai propri schiavi, ed è appunto al livello di uno schiavo che Gesù si pone. Cioè: Gesù compie un gesto che capovolge ogni idea di stratificazione gerarchica.
Compie un gesto di amore, di quell’amore che dura “fino alla fine” e che passa per la croce. È un segno concreto dell’abbassamento del Cristo, anzi del suo annichilirsi per noi.
Non è un gesto fine a se stesso, ma un gesto che ci sfida, mettendo in questione in modo radicale la nostra gerarchia di valori: Se io, Maestro e Signore, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Perché non c’è rinnovamento vero della vita, dei rapporti umani e sociali se non in questo abbassarsi e farsi servi, in questo considerare l’altro (e l’altra) più importante di noi, abbandonando ogni spocchia, ogni pretesa di superiorità , e non solo noi confronti dei fratelli, dei parenti, degli amici, ma nei confronti di quanti la vita mette sul nostro cammino.
Questa è la sfida che l’Evangelo ci pone: o limitarci ad ammirare un Signore che ha saputo abbassarsi, o seguire il suo esempio.