“La Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità ; e noi abbiamo contemplato la sua gloria”.
Natale: la “Parola” che diventa “carne”, ovvero – per dirla nell’originale greco del Vangelo di Giovanni – il “lògos” che si fa “sà rx”, e dunque pure l’Idea che si fa materia; il Divino che si presenta umano; l’Essere altissimo, perfettissimo, eterno che si abbassa all’infimo rango di un comune mortale di questo mondo: niente di più inconcepibile per la cultura ellenistica con cui aveva da fare i conti il cristianesimo allora nascente, ma anche per la religiosità ebraica da cui il cristianesimo stesso traeva origine. Figuriamoci: il Dio d’Israele, Creatore e Signore dell’universo, conosciuto unicamente, per l’appunto, mediante la sua sovrana Parola… che si mischia anima e corpo financo con le più indegne fra le sue creature!
“Follia” per i filosofi e “scandalo” per i religiosi di tutti i tempi (o qualcosa del genere) aveva già scritto Paolo di Tarso del Cristo crocifisso, l’estrema, la più vergognosa, la più incredibile conseguenza della sua incarnazione. “Mysterion” (o, nelle più antiche traduzioni latine, “sacramentum”) altri proporranno di nominare quella compromissione assurda o, per chi crede, quella consacrazione mai vista, rivoluzionaria quant’altre mai: il Signore dei signori che si dona anima e corpo ai suoi sudditi, vivendo, morendo e risuscitando per loro e con loro; spogliato di ogni classica prerogativa divina fuorché una sola, di gran lunga la più importante e al tempo stesso, in fondo, la più umana: l’irriducibilità del suo amore che tutti e tutte, a qualunque costo, vuole abbracciare. Sta tutta lì la sua “grazia”, la sua “verità “, la sua “gloria” da contemplare con rinnovato stupore, oggi non meno di allora: nell’utopia della perfetta umanità di Dio realizzata in Gesù di Nazaret.