Grande organizzatore della cultura valdese, ma soprattutto pastore, ci ha lasciati all’età di 95 anni
È difficile, venendo ad apprendere della scomparsa di Giorgio Tourn (avvenuta nella sua casa in Rorà nelle valli valdesi fra domenica 5 e lunedì 6 ottobre), non andare con la mente all’ultimo suo libro La mia Emmaus. Storia di un pastore valdese (Claudiana). Autobiografico nella struttura è in realtà molto di più, perché è la storia di una vocazione, cioè la storia della vita. Non la vita vissuta dall’autore/protagonista, che narra in prima persona, ma l’autore nel suo rapporto con Dio: la vocazione, e la risposta che umilmente cerchiamo di darle, è proprio questo. Stare al Suo cospetto e cercare di capire quale sia la Sua volontà per noi.
Una volontà che si è protratta in un ministerio di settant’anni, essendo la sua consacrazione avvenuta nel 1955. Nato nella stessa Rorà nel 1930, ragazzo a Torino e poi in Francia durante la guerra, aveva studiato alla Facoltà valdese di Teologia tra il 1943 e il 1955, per poi essere a Basilea e seguire le lezioni di Karl Barth e Oscar Cullmann. Dopo l’anno di prova a Milano e la laurea con una tesi su Il valore ecclesiologico dell’espressione Soma Cristou nell’epistolario paolinico, era stato consacrato nel 1955 e inviato a Massello, dove è stato pastore fino al 1968. Nel frattempo collabora con Agape, nella preparazione e conduzione dei campi e come vicedirettore (1967-1969). Intanto si era iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia a Torino, laureandosi con Nicola Abbagnano sul concetto di Mito nella teologia di Rudolf Bultmann. Secondo pastore a Pinerolo dal 1969 al 1977, era diventato pastore di Torre Pellice a partire dal 1977: vi resterà fino al 1989 quando, nell’anno delle celebrazioni relative al Glorioso Rimpatrio del 1689, già presidente della Società di Studi valdesi diventerà il primo direttore del neonato Centro culturale valdese, con sede a Torre Pellice.
Moltissimi gli incarichi ricoperti: per Riforma – L’Eco delle valli valdesi, dobbiamo dire che è stato direttore del “fratello maggiore” del nostro giornale, proprio in quel 1975 in cui La luce, in seguito al Patto d’integrazione, era diventato il settimanale anche delle chiese metodiste. Sempre nel campo della pubblicistica sono da ricordare le molte collaborazioni alla rivista Diakonia, la cui stampa era curata proprio da Agape, luogo di un dibattito teologico/ecclesiologico difficile da rintracciare successivamente. Anche la rivista della Facoltà di Teologia, Protestantesimo, ha ospitato molti suoi scritti, che spaziavano dall’ecumenismo, visto con occhio severo, alla recensione di due libri di un teologo svizzero sui romanzi dell’amato Dostoevskij, e più recentemente, con la solita curiosità e voglia di sperimentare, dette il suo apporto di pensiero al sito istituzionale della Tavola valdese.
Proprio la letteratura è l’altro grande pozzo a cui Giorgio Tourn ha attinto nella propria formazione: un dato che lo accomuna, peraltro, ad almeno due generazioni di pastori e pastore. Oltre a Dostoevskij, una sua grande passione erano i romanzi di Georges Bernanos: un autore cattolico, di un cattolicesimo assai conservatore, legato a situazioni della provincia francese piuttosto cupe, fra le due guerre. Eppure… eppure proprio in quei dialoghi serrati fra il “curato di campagna” e la contessa, in un ambiente lontano le mille miglia da quello delle valli valdesi o delle nostre città, permeato di una visione della religione che Tourn criticava pesantemente dal punto di vista teologico, veniva fuori l’interrogazione che coglie ogni giorni tutti e tutte noi: il senso del nostro stare al mondo, la capacità di rispondere alle più disparate vocazioni… e la letteratura trascende l’ideologia, la supera.
Autore di una grande quantità di libri per l’editrice Claudiana, Tourn ha saputo spaziare dal racconto della vicenda valdese (I valdesi. La singolare vicenda di un popolo chiesa, 1977 e successive, vero e proprio long seller) ai ritratti (Bonhoeffer, Calvino, ancora, due anni fa, Olivetano); ha realizzato la curatela commentando testi della Riforma come la Confessione Augustana del 1530, e, nel 1971, ha curato l’edizione italiana integrale dell’Istituzione della religione cristiana di Calvino per la torinese Utet, che avrà due successive altre edizioni.
Con i libri Giorgio Tourn stupiva sempre: dopo aver pubblicato una personale indagine “sociologica” (Una chiesa in analisi. I valdesi di fronte al domani, 1973, testo che giustamente mi è stato fatto studiare al catechismo), richiestogli più volte di farne un aggiornamento, disse che non era possibile, che tutto cambiava ormai troppo in fretta. Ma ritornò su alcuni di quei temi, per quel che riguardava l’ambiente delle valli valdesi… con un romanzo (Salvare Cesarina, 2005): era la forma che, al momento, gli sembrava più adeguata. Così come gli sembrerà adeguato, per ricordare il centenario calviniano, realizzare uno spettacolo teatrale, scritto e interpretato con la figlia Sara.
La fede era per lui da raccontare; nei sermoni, incisivi come pochi sapeva creare delle “immagini” di situazioni, anche autobiografiche, al servizio della chiarezza. Poi c’era la dottrina, la sostanza teologica, la passione per la Bibbia che arrivava a volte, nella scia degli anni francesi, all’utilizzo della Traduzione ecumenica TOB, peraltro bellissima, che si portava sul pulpito e che leggeva con gli occhi traducendola in italiano con la voce, per i presenti.
Il primo grande e per me formativo discorso che ho sentito da lui, non fu in sua presenza: era una registrazione, ad Agape. Tanto i cadetti dell’anno precedente (1976) erano stati colpiti dal suo discorso su fede, politica, adolescenza, amore e sentimenti fra coetanei, che la direzione del campo la ripropose l’anno dopo per chi non c’era. Ma tanti, compreso il direttore di Agape Eugenio Rivoir, tornarono a sentire, come si diceva allora, il “nastro”. Un filo lunghissimo che collega le esperienze che sono seguite per me e per tanti e tante, fra chi è professionista in una grande città e i picapere della sua Rorà: a tutti sapeva parlare e tirare le orecchie. Cercheremo di farne tesoro.
La mia Emmaus racconta, come si è detto la storia di una vocazione, e i dubbi con cui è stata vissuta: sarò stato all’altezza? – si chiede l’autore. Sembrava impossibile che i pastori (e le pastore: Giovanna Pons era del 1928) di quella generazione potessero “avere dei dubbi”: li avevano, li raccontavano in preghiera al Signore. A noi magari lo dicevano in tarda età, ma il loro dialogo con Dio, in qualche modo insondabile ha contribuito alla nostra formazione.
FOTO DI PIETRO ROMEO
Tratto da Riforma.it
