«Il Signore disse: “Tu, tu hai pietà del ricino, che non ti è costato alcuna pena e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte ed è scomparso in una notte. E io, io non avrei pietà di Ninive, la gran città , dove vi sono più di centomila esseri umani che non sanno distinguere la destra dalla sinistra, e bestie in gran numero!“».
Dio ha l’ultima parola nel libro di Giona. Come aveva avuta la prima. Così i quattro capitoli, e la loro manciata di versetti, s’inscrivono tra una parola che chiama, e un’altra che replica. Giona è tutto un botta e risposta, un’azione/reazione, un dialogo uomo-Dio che si disloca per terra e per mare, per tacere del dialogo sottomarino. Il pesce ingoia Giona per proteggerlo dall’acqua, lo sputa a riva e scompare. Il ricino ristora Giona dal sole, e poi secca. Il Signore dà , il Signore toglie. Ma non nel senso biblico-cimiteriale cui ci ha abituato la cinematografia americana. Qui, infatti, l’aggiunto e il sottratto si inscrivono – per dirla in termini letterari – nell’iperrealismo del Meraviglioso. Tutta la story è satura di effetti speciali. Sodoma fu distrutta perché non vi erano neppure 10 Giusti. A Ninive i Giusti erano zero e divengono 120.000 – un multiplo per diecimila delle tribù d’Israele, guarda un po’ – dalla sera alla mattina.
Infine e soprattutto, Dio parla a Giona come se quest’ultimo si fosse preso a cuore il ricino, non il benessere dal ricino recatogli. Si direbbe un divino abbaglio, tanto più che dall’inizio della narrazione il nostro profeta suo malgrado pare assai autocentrato, nonché sommamente scontento che Dio gli cambi le carte in tavola a ogni piè sospinto sottraendogli il ragionevole controllo della sua vita. Così facendo, il Signore introduce la pietà , ovvero la capacità di preferire l’altro alla propria coerenza. Ed è proprio alla centralità della misericordia che richiama Giona, spietato in primis contro se stesso, presentandogli l’irresolutezza, l’inconcludenza e il disorientamento dei Niniviti (post-moderni ante litteram?) come fonte di empatia. Dio secca il ricino per mostrare a Giona – e non solo a lui – che è il suo cuore a essere secco. Forse, la missione affidata al profeta colomba – è il significato del suo nome in ebraico – per interposti Niniviti era, semplicemente, quella di schiudere la porta delle sue emozioni e della sua stessa umanità , imago Dei.