«La parola del Signore pervenne a Giona, figlio di Amittai: “Alzati, va’ a Ninive, la gran città , e lancia un proclama contro di essa, poiché il male che ha compiuto è giunto fino a me”. Allora Giona volle fuggire a Tarsis per scampare al Signore. Discese a Giaffa e trovò un battello che andava a Tarsis: pagò il prezzo del viaggio e s’imbarcò (…)».
Giona esordisce nella Bibbia come il Disertore di Dio. I profeti refrattari abbondano, ma il nostro uomo va ben oltre, affrettandosi a pagare cash una crociera in direzione opposta a Ninive pur di far perdere le tracce a un Signore importuno e molesto. La sua accanita contrarietà avrà peraltro modo di manifestarsi nuovamente (e lo vedremo presto) nei 48 versetti che compongono il libro. Alle missioni Giona risponde con le dimissioni, istantanee quanto mute. Si rifiuta di parlare al Dio che gli parla. E il silenzio si colora della precipitazione delle fughe. Allontanarsi non gli riuscirà .
A dire il vero, riesce difficilmente anche a noi. È facile accumulare chilometri e miglia nautiche o aeree, prendere le distanze sulla carta geografica, o più banalmente sul piano razionale, emotivo, relazionale… Più difficile comprendere che cosa veramente ci fa fuggire, ossia ci spaventa. Non scappiamo necessariamente da Dio. Spesso fuggiamo da qualcosa o da qualcuno, e il primo dei qualcuno siamo inevitabilmente noi. Chi se la dà a gambe raramente sa davvero perché: entra in gioco qualcosa di più forte di lui. O di lei. Giona lascia perdere. Ma il Signore non lascerà perdere lui, anzi non lascerà che si perda. Come inizi la storia – sua o nostra – è significativo ma non decisivo. Il potere del NO, anche del no più categorico, è relativo. Se il Signore dice SàŒ a Giona, e il suo è un sì a ciascuno di noi, è questa apertura di credito il significato della mission, non il contenuto proprio di quest’ultima. Lo scoprirà anche Giona.