English version – German version
Quando fu vicino alla città, alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, con gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi!»
Alcuni farisei, tra la folla, gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Ma egli rispose: «Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno».
(Luca 19: 37-40)
Care sorelle e cari fratelli,
quante volte ci è stato detto di stare zitti, che fosse meglio tacere, che non c’erano parole adeguate, anzi…ogni parola era inopportuna, fastidiosa, stucchevole, di troppo, perché la nostra parola può essere scomoda, creare dissenso, seminare dubbio ed essere divisiva.
Ecco, questo deve essere ciò che hanno pensato i farisei, quando hanno chiesto a Gesù di sgridare e far tacere i suoi discepoli.
Ma Gesù risponde loro con una frase che è la pietra miliare di ogni confessione di fede, e può diventare un motore per la nostra testimonianza: “se anche questi tacciono, le pietre grideranno!”. Quando anche i discepoli non potessero parlare di Gesù, non testimoniassero del Regno dei cieli, lo farebbero le pietre del selciato dell’ingresso di Gerusalemme.
Per i farisei sentire acclamare Gesù come re, assistere alla folla che lo loda con canti di festa, lui che è re di un regno senza confini, fa proprio rabbia.
Alla rabbia dei farisei Gesù risponde con una frase quasi incendiaria, con una provocazione: “se anche questi tacciono, le pietre grideranno!”.
Questa frase però è anche una dimostrazione del potere nuovo e diverso di Gesù rispetto all’autorità che zittisce e condanna al silenzio. Gesù invita a prendere la parola, non per piacere agli altri o per mettersi in mostra ma per dare un messaggio rivoluzionario, pericoloso, scandaloso in ogni tempo: Gesù è il re di un regno inimmaginabile, un regno dove non c’è sopraffazione, dove non c’è chi controlla e chi è controllato, chi abusa e chi è abusato, chi combatte e chi si difende, chi si vendica e chi è vendicato.
La provocazione resta tale anche per i lettori del Vangelo di ogni tempo, è un balsamo per tutti coloro che si sentono dei credenti imperfetti e impacciati: a prescindere dall’efficacia della loro testimonianza i fatti diranno che Gesù è il re della storia.
È una sfida per ogni credente, quella di cogliere i segni della salvezza ed esprimere anche il giudizio di Dio sulla storia umana con la propria voce che è più udibile di quella di una pietra. Ma spesso rimaniamo assordati nel silenzio dei nostri pensieri e diventiamo complici del “non voler disturbare”, ci nascondiamo dietro il tanto altro che abbiamo da fare.
Eppure dobbiamo ripartire dalla vocazione che abbiamo ricevuto, non solo chi tra noi è pastore, teologo, predicatrice, ma tutti e tutte noi credenti siamo chiamati ad annunciare l’Evangelo, anche quando questo compito si fa irriverente, scomodo!
Le pietre del selciato di Gerusalemme, vicino al monte degli ulivi, avrebbero gridato tutta la regalità di Gesù di Nazareth, il figlio di Dio venuto dalla Galilea, avrebbero acclamato il messia della periferia.
Il fatto che Gesù sia re di un regno senza confini e senza corona rivela tutta la fragilità e la disumanità dei regni di cui è stata costellata la storia, regni che spesso hanno usato proprio Gesù e Dio per legittimare il loro potere. Gesù è re dei giudei ma non in alternativa all’impero romano; è re del Regno di Dio, suo Padre, un regno i cui sudditi sono chiamati ad annunciare, a collaborare e costruire, in cui non c’è un potere oppressivo e un confine territoriale, neppure temporale, ma si vive l’utopia dell’amore di Dio per ognuno e ciascuna.
Se Gesù è re, allora nessun regno di questo mondo è veramente legittimo, vorrei dire: nessun potere di questo mondo ha autorità.
La teologia luterana ortodossa certo non sarebbe d’accordo con questa mia affermazione, ma ritengo vero per noi oggi che nessun potere può sentirsi tutelato dal Deus vult, Dio lo vuole.
Nessun potere al mondo può credersi assoluto ma deve permettere alla “voce che disturba”, al dissenso, di elevarsi.
La voce che afferma che Gesù è il Re esprime la relatività di ogni potere umano esistente. Questa parola diventa scomoda e urticante per ogni potere e per ogni autorità: la regalità di Gesù si esercita nella potenza che si dimostra nella debolezza (2 Cor 12). La regalità di Gesù rimane così “spina nella carne” di ogni potere umano.
Possiamo dire che Dio è re per regnare in un regno che sfida e surclassa ogni potere umano perché è un regno di pace, di giustizia e di amore, un regno il cui re non ha scettro né corona, non ha cioè il potere esercitato con controllo e oppressione.
Un regno che non ha tempo perché è in ogni tempo, in ogni pagina della storia.
Nel Medioevo il teologo hussita Nicola da Dresda usa l’immagine forte delle pietre che gridano la testimonianza che mancava in quel tempo della storia, per difendere la parola pubblica e la predicazione delle donne in un tempo in cui, a qualche centinaio di chilometri, le donne che osavano un ruolo pubblico nella società erano accusate di stregoneria e qualche volta condannate al rogo.
Una pagina della storia del cristianesimo e del movimento valdese su cui spesso sorvoliamo; eppure il nesso tra le donne e le pietre è un nesso che nella storia valdese della testimonianza ritorna prepotente così come nel dibattito sinodale sul ministero pastorale e l’accesso alla Facoltà delle donne negli anni ’50: se l’Evangelo può essere annunciato da elementi inerti, tanto più lo possono fare le donne, se preparate.
Altri credenti hanno sentito le pietre gridare ancora novanta anni fa mentre i cristiano-tedeschi si piegavano al culto della persona del Führer; poco dopo anche in Casa valdese si discuteva la posizione della chiesa durante il fascismo. È stato necessario ritornare a Gesù Cristo, per la chiesa confessante, per la teologia della chiesa valdese.
E oggi che cosa grideranno le pietre?
Potremmo dire banalmente che gridano contro ogni guerra e ogni sopraffazione.
Eppure credo che ancora oggi grideranno di Gesù Cristo, il fondamento della nostra esistenza come chiesa e come comunità di credenti: se guardassimo a Gesù Cristo non ci pronunceremmo solo contro la guerra ma ci impegneremmo per costruire pace a partire dal nostro contesto prossimo, di relazioni personali e comunitarie.
Le pietre grideranno l’ingiustizia ma noi discepoli e discepole potremmo certamente metterci all’opera per una società che impari nuovamente a confrontarsi e discutere in un pluralismo di idee e opinioni, per una chiesa che non tema la secolarizzazione o l’estinzione.
A noi, care sorelle e cari fratelli,
questa promessa di un’evangelizzazione dal basso del selciato giunga come un antidoto allo scoraggiamento dei nostri piccoli numeri, della stabile decrescita.
Sia piuttosto un incoraggiamento a continuare a tessere rete e costruire legami per moltiplicare l’amore di Dio.
L’Evangelo di Gesù Cristo viene proclamato ogni volta che una squadra di Breakfast Time, un gruppo di volontari di ogni comunità distribuiscele colazioni ai senza tetto, ogni volta che come comunità locali cerchiamo di superare l’ingiusto svantaggio economico di chi è sempre più povero; ogni volta che ci impegniamo per la legalità non solo a parole; ogni volta che apriamo attività nuove per dire chi è il Dio di Gesù Cristo a persone che forse in chiesa e ad uno studio biblico non verrebbero mai.
E se persino le pietre, che sono gli esseri più immobili e inerti che possiamo immaginare, potranno testimoniare di Gesù, allora noi che potremmo mai dire di più?
Certamente potremo confessare il nostro peccato: l’ingiustizia, il conflitto, l’odio che abbiamo visto e taciuto, che abbiamo persino disseminato nel mondo, che non siamo riusciti ad arginare e allora sì che avremo parlato del regno di Dio, che Gesù Cristo ci ha annunciato.
La buona notizia che questa parola di Gesù ci offre è ancora una volta tutta la sua radicalità, e tutta la sua scomodità; eppure senza questa fatica, vana è la nostra fede.
Perché abbiamo avuto tutti e tutte almeno una volta la tentazione di ergerci noi personalmente a sovrani e governanti del nostro mondo anche solo per un minuto e invece è venuto il tempo di riconoscere il nostro peccato e annunciare al mondo una cosa che questi 850 anni di storia della chiesa valdese ci hanno mostrato in maniera chiara: la parola pubblica della chiesa si distingue dal brusio delle epoche storiche perché annuncia Gesù Cristo, un re senza corona con un potere diverso da quello del mondo.
Questa verità non diventerà mai relativa, e non verrà mai meno.
Amen.
Sermon by Pastor Sophie Langeneck at the opening worship of the Synod of Methodist and Waldensian Churches, Torre Pellice, 25 August 2024
As he was now drawing near to the city, at the descent of the Mount of Olives, all the crowd of disciples started with a loud voice joyfully to praise God for all the powerful works which they had seen, saying: “Blessed is the King who comes in the name of the Lord! Peace on heaven and glory in the highest!”
Some Pharisees amongst the crowd said to him, “Teacher, rebuke your disciples!” But he replied, “I tell you that if these were to remain silent, the stones themselves would shout out.”
(Luke 19, 37 to 40)
Dear brothers and sisters,
How often has it been said to us that we should remain silent, that it would be better to refrain from speaking, or that there were no adequate words – indeed, every attempt to speak would be inopportune, or annoying, or tiresome, or simply too much, that our words could be inconvenient, might create disagreement, might sow doubts and become divisive?
That’s probably what the Pharisees were thinking, when they asked Jesus to rebuke his disciples and shut them up.
But Jesus responds with a phrase which is the milestone, the marking point, of every confession of faith, and may become the driving force of our own witness:
“if these were to remain silent, the stones themselves would shout out.”
Were it to prove impossible for the disciples to speak of Jesus, were they to refrain from witnessing to the Kingdom of Heaven, the paving stones at the entrance to Jerusalem would do it instead.
For the Pharisees, hearing Jesus acclaimed as King over a kingdom without borders, watching the crowds praise him with festive song, all this produces anger in them.
But in answer to the anger of the Pharisees, Jesus responds with an incendiary phrase, with a real provocation: “if these were to remain silent, the stones themselves would shout out.”
This phrase, however, is also a demonstration that the power and authority of Jesus is new, and different, when compared with the sort of authority which seeks to silence people. Jesus issues an invitation to speak up, even when others don’t want to hear the message, and not for the sake of being ourselves the centre of attention but in order to communicate a revolutionary message, which is dangerous and scandalous in every generation: Jesus is the King of an unimaginable kingdom, a kingdom where there is no oppression, where there is no-one who ‘controls’ and no-one who is ‘controlled’, no abuser and no abused, no-one who uses violence and no-one who has to put up defences against attack, no-one who seeks revenge and no-one who is wronged against.
This provocative claim, however, remains just as strong even for today’s reader of the Gospel; it is balm for all who feel themselves to be imperfect, hampered, believers: no matter the poverty of their witness, the facts will be made clear – that Jesus is the King of History. This is a challenge for every believer: to grasp the signs of salvation and express the judgement of God on human history with our own voices, which are more audible than the voices of stones.
Yet so often we remain enclosed in the silence of our own thoughts, complicit in the suppressive ‘Do not disturb!’, hiding ourselves behind the ‘thousand and one other things’ which we have to do.
However, we must all start again from the calling which we have received; not just whoever amongst is a Minister of Word and Sacraments, a theologian or Local Preacher, but every one of us, we who are believers, all of us are called to announce the Gospel even when this duty is inconvenient, even when others think we are being irreverent or inconvenient in the way we do things.
The paving stones of Jerusalem, near the Mount of Olives, would have shouted out all the sovereignty of Jesus of Nazareth, the Son of God who comes from Galilee; they would have acclaimed this Messiah who is from the periphery of society. For the fact that Jesus is king of a kingdom without boundaries, a king without a golden crown, all this reveals the fragility and inhumanity of the kingdoms scattered throughout history, kingdoms which have often used Jesus and God in order to legitimise their power. Jesus is king of the Jews, but not as an alternative to the Romans; he is king of the Kingdom of God, his Father. This is a reign whose ‘subjects’ are called to proclaim good news, to collaborate in constructing society, a kingdom in which there is no oppressive power, a kingdom with neither territorial nor temporal boundaries, where the ‘utopia of the love of God’ (Agàpe) is lived by each and every one of us.
But if Jesus is King, then no earthly reign is truly legitimate. That is to say, no power of this world has authority. Orthodox Lutheran theology would certainly not be in agreement with this affirmation, (note: the preacher’s late father was a German of Lutheran background) but I believe that it is true for us today that no power may legitimately believe itself and its actions to be ‘the Will of God’. No worldly power may believe itself to be absolute; instead, it must permit ‘the voice which disturbs’, the voice of dissent, to rise up and be heard.
The voice which proclaims that Jesus is King expresses the relativity of every existing human power. This word becomes inconvenient, stinging like a nettle, for every power and for every authority: the reign of Jesus is exercised in the power which is shown in weakness (2 Cor 12). The reign of Jesus in this way remains ‘the thorn in the flesh’ in all times and in every page of history.
In late Medieval times, the Hussite theologian, Nicholas of Dresden, used the powerful image of the witnessing stones which shout out to exemplify the poor witness of the established Church in his own day he used it also to defend the public place of women preachers at a time when, not far from here, women who dared to take on such a public role in society were accused of witchcraft and sometimes burnt at the stake. This is a page in the history of the Christian Church, and in the Waldensian Movement, which we often try to skip over; and yet the link in Waldensian history between those women and the paving stones is one which at times returned in strength – for example during the debates in the 1950s concerning women and ministry and whether women should have access to the Theological Faculty. Surely, if the Gospel may be proclaimed by inert paving stones, it may be proclaimed by suitably trained women!
Other Christian believers heard the stones shout out ninety years ago, as the so-called ‘German Christians’ bowed the knee before the cult of the Führer; not long afterwards, we Waldensians were discussing our own response to fascism. It was necessary for us, as for the Confessing Church in Germany, to return to Jesus Christ as our only King/Leader.
And today, what will the paving stones shout out? We could, in a rather banal way, suggest that they shout out against every war and against every oppression. And yet, I believe that even today they would rather shout out the name of Jesus Christ, the foundation of our existence as church and as community of believers. If only we looked to Jesus Christ, we would not only speak out against violence and warfare, but we would commit ourselves to constructing peace, starting with the context in which we find ourselves: our personal relations, our local community. The paving stones will shout out against injustice, but our task is to commit to building a society which learns once again to engage with all our neighbours in a way which promotes pluralism of ideas and opinions, which sees a church which does not fear secularisation, or even extinction!
Dear brothers and sister, to us is given this promise, this vision of an ‘evangelism from below’, from the paving stones. May it be an antidote to all discouragement at our small numbers, and the ongoing reduction in our size and strength. May it rather be an encouragement to continue to weave networks and construct ties which bind us to others in the experience of the love of God.
For the Gospel of Jesus Christ is proclaimed every time something is done for the poor and the weak: for example, every time breakfast is given to the homeless on the streets of Milan; every time local churches seek to overcome the injustice of economic disadvantage faced by so many of the poor in our society; every time we insist in practice (and not just in words) on proper legal financial transactions instead of evading taxes; every time we open a new activity, seeking to tell people that would never enter a church building or attend a Bible Study Group, who the God of Jesus Christ really is.
And if even the paving stones, which are the most immobile and inert of all things, are able to testify to Jesus Christ, then what may we do which supersedes that witness? One thing, for certain, which we ought to be able to do is confess our sin, our failures: the injustice and the conflict in society; the hatred which we have observed and yet we have kept silent – or worse, disseminated in the world – and which we have not been able to block. Yes, when we have confessed all this, and more, we will have spoken about the Kingdom of God which Jesus announced to us. The Good News, which this word from Jesus offers us, would once again be seen in all its radicality, in all its inconvenience; for without this confession, and without our active witness, our faith is vain.
We have all at some point or another faced the temptation to set ourselves up as sovereign and governor of our own personal world, even if it was only briefly. But the time has come for us to recognise our sin and announce to the world something which these eight hundred and fifty years of Waldensian history have clearly demonstrated: the public proclamation of the Church is different from the noise of historical epochs because it announces Jesus Christ: a king without a golden crown, with a power which is different from worldly power.
This truth will never become ‘relative’; this truth will never end. Amen.
Predigt von Pfarrerin Sophie Langeneck im Gottesdienst zur Eröffnung der Synode der Evangelisch-methodistischen und der Waldenser Gemeinden in Italien, Torre Pellice, 25 August 2024
Als Jesus nah an die Stadt kam, an den Abhang des Ölbergs, fing die ganze Menge der Jüngerschaft an, mit Freude Gott laut zu loben für all seine großen Taten, die sie erlebt hatten: Sie riefen: “Gesegnet sei der König, der da kommt im Namen des Herrn; es sei Friede im Himmel und Ehre an den allerhöchsten Orten!”
Es waren einige Pharisäer unter der Menge, die sagten zu ihm: “Meister, weise deine Jüngerschaft zurecht!” Aber er antwortete: “Ich sage euch, wenn diese schweigen, werden die Steine schreien.”
Lukas 19, 37-40
Liebe Schwestern und liebe Brüder,
wie oft wurde uns gesagt: “Seid still”! Es wäre besser, zu schweigen, es gäbe keine angemessenen Worte, im Gegenteil…. Jedes Wort war unpassend, störend, lästig, zuviel! Denn unser Wort kann unbequem sein, Streit entfachen, Zweifel sähen und zu Spaltungen führen.
Genau das ist es, was die Pharisäer dachten, als sie Jesus baten, seine Jüngerschaft zurecht zu weisen und zum Schweigen zu bringen.
Aber Jesus antwortet ihnen mit einem Satz, der der Meilenstein jedes Glaubensbekenntnisses ist. Er kann zu einem Beweggrund für unser Zeugnis werden: “Wenn diese auch schweigen, so werden die Steine schreien!” Wenn auch die Jünger nicht von Jesus sprechen, nicht das himmlische Königreich bezeugen könnten, dann würden das die Steine des Straßenpflasters am Eingang von Jérusalem tun.
Die Pharisäer macht es wirklich wütend, zu hören, wie Jesus zum König ausgerufen wird und mit zu bekommen, wie die Menschenmenge ihn mit festlichen Gesängen als König preist, dessen Reich keine Grenzen hat.
Auf die Wut der Pharisäer antwortet Jesus mit einem Satz, wie ein Brandsatz, mit einer Provokation: “Wenn diese zwar schwiegen, so werden die Steine schreien!”
Dieser Satz ist aber auch ein Beweis der neuen und anderen Macht Jesu im Gegensatz zu der Autorität, die Stille befiehlt und zum Schweigen verurteilt. Jesus lädt ein, das Wort zu ergreifen: Nicht, um den andern zu gefallen oder sich zur Schau zu stellen, sondern um eine Nachricht weiter zu geben, die revolutionär ist, gefährlich und skandalös, zu jeder Zeit: Jesus ist König eines unvorstellbaren Reichs, wo es keine Unterdrückung gibt, wo es niemanden gibt, der kontrolliert, und keiner überwacht wird, wo es keinen gibt, der Gewalt ausübt und niemand missbraucht wird, niemand kämpft und keiner sich verteidigt, keiner sich rächt und niemand zum Racheopfer wird.
Diese Provokation bleibt auch bestehen für alle Leser dieses Evangeliums zu allen Zeiten. Es ist Balsam auf die Seele derjenigen, die sich als Glaubende fehlerhaft ind unbeholfen fühlen: ganz abgesehen von der Wirksamkeit ihrer Zeugnisschaft werden die Tatsachen verkündet, die zeigen, dass Jesus der König der Geschichte ist.
Es ist eine Herausforderung für alle, die glauben, nämlich die Erkennungszeichen des Heils beim Schopf zu ergreifen und mit der eigenen Stimme das Urteil Gottes über die Menschheitsgeschichte auszudrücken, denn die eigene Stimme ist hörbarer als die eines Steins. Aber oft bleiben wir betäubt im Schweigen unserer eigenen Gedanken und werden Komplizen eines “Ich will doch nicht stören, ich will doch kein Spielverderber sein!” Wir verstecken uns hinter all dem anderen, das wir zu tun haben.
Und doch müssen wir neu beginnen bei der Berufung, die wir empfangen haben, nicht nur, wer unter uns Pfarrer ist, Theologe, Predigerin, sondern wir alle, die wir glauben, sind berufen, das Evangelium zu verkünden, auch wenn diese Aufgabe sich als undankbar und unbequem erweist.
Die Steine des Kopfsteinpflasters von Jerusalem nahe am Ölberg hätten die allumfassende Königsherrschaft Jesu von Nazareth heraus geschrieen, des Sohnes Gottes, der aus Galiläa kam, sie hätten ihn zum Messias der unbedeutenden, randständigen Peripherie ausgerufen.
Die Tatsache, dass Jesus ein König eines Reiches ohne Grenzen und ohne Krone sein soll, offenbart die ganze Zerbrechlichkeit und Unmenschlichkeit der Herrschaftsbereiche, mit denen die Geschichte übersät ist, Reiche, die oft ausgerechnet Jesus und Gott dazu benutzt haben, ihre Macht zu rechtfertigen. Jesus ist der König der Juden, aber nicht als Alternative zum Römischen Reich; er ist König des Reiches Gottes, seines Vaters, ein Reich, dessen Untertanen berufen sind, zu verkündigen, mitzuarbeiten und aufzubauen. Da gibt es keine unterdrückerische Macht, keine räumlichen Barrieren, auch keine zeitlichen Grenzen. Sondern hier wird die Utopie der Liebe Gottes für alle und jeden gelebt.
Wenn Jesus der König ist, dann ist kein Reich dieser Welt wahrhaft rechtmäßig, möchte ich sagen:
Keine Macht dieser Welt hat Autorität.
Die Theologie lutherischen Orthodoxie [mit ihrer Zweireichelehre, Anm. d. Übers.] wäre sicher nicht einverstanden mit dieser Behauptung von mir [reformierte Lehre der Königsherrschaft Christi]. Aber ich halte es für wahr für uns heute, dass keine Macht sich beschützt fühlen kann vom “Deus vult”, Gott will es [Aufruf des Papstes zu den Kreuzzügen].
Keine Macht der Welt darf sich für absolut halten, sondern muss der “störenden Simme”, dem Dissens, erlauben, sich zu erheben.
Die Stimme, die bekräftigt, dass Jesus König ist, drückt die Relativität jeder existierenden menschlichen Herrschaft aus. Dieses Wort wird unbequem und gefährlich für jede Macht und für jede Autorität: Das Königtum Jesu erweist sich in der Kraft, die in den Schwachen mächtig ist (2. Korinther 12). Die Königsherrschaft Jesu bleibt so “ein Stachel im Fleisch” jeder menschlichen Macht.
Wir können sagen, dass Gott König ist in einem Reich, das jede menschliche Herrschaft herausfordert und übersteigt, weil es ein Reich des Friedens, der Gerechtigkeit und der Liebe ist. Ein Reich, dessen König weder Zepter noch Krone besitzt, er hat also keine Macht inne, die mit Überwachung und Überwältigung ausgeübt würde.
Ein Reich, das keine Zeit hat, weil es in jeder Zeit existiert, auf jeder Seite, auf der noch Geschichte geschrieben wird.
Im Mittelalter gebraucht der hussitische Theologe Nikolaus von Dresden (um1380-1417) das starke Bild der schreienden Steine, die bezeugen, was in diesem Zeilalter der Geschichte fehlte, um das öffentliche Wort zu verteidigen. Er verteidigte so das Predigen von Frauen in einer Epoche, als ein paar Hundert Kilometer weiter Frauen, die es wagten, in der Öffentlichkeit eine Rolle zu spielen, der Hexerei angeklagt und zum Feuertod verurteilt wurden.
Das ist eine Seite des Christentums und der Waldenser Bewegung, über die wir oft flüchtig hinwegsehen; und doch kehrt der Zusammenhang zwischen den Frauen und den Steinen offensichtlich wieder in der Waldenser Geschichte des Bekennermutes: Wie in der Synodendebatte über den Zugang von Frauen zum Pfarramt und zur Theologischen Fakultät in den 1950er Jahren. Wenn das Evangelium von leblosen Sachen verkündet werden kann, dann können das Frauen umso besser, wenn sie diecAusbildung dazu haben. Andere Gläubige haben die Steine schreien hören, als die “Deutschen Christen” sich dem Personenkult des “Führers” beugten. Wenig später wurde auch im Waldenser Haus die Stellung der Kirche zum Faschismus erörtert. Es war nötig, zu Jesus Christus umzukehren, für die ‘Bekennende Kirche’, für die Theologie der Waldenser Kirche.
Und was schreien die Steine heute?
Als Alllgemeinplatz können wir sagen: Sie schreien gegen jeden Krieg an und gegen jede Vergewaltigung.
Aber ich glaube dennoch, sie würden heute von Jesus Christus schreien, der ja die Daseinsberechtigung [wörtlich: Existenzgrundlage, Anm. d. Übers.] von uns als Kirche und Gemeinschaft von glaubenden Menschen ist: Wenn wir auf Jesus Christus schauen würden, sprächen wir uns nicht nur gegen den Krieg aus, sondern wir würden uns einsetzen, um Frieden zu bauen, angefangen von unserer nächsten Umgebung der persönlichen und gemeindlichen Beziehungen.
Die Steine werden die Ungerechtigkeit herausschreien, aber wir Jüngerinnen und Jünger könnten sicher anfangen, für eine Gesellschaft zu arbeiten, die neu lernt, Konflikte auszutragen und zu diskutieren in einem Pluralismus der Gedanken und Meinungen, uns einzusetzen für eine Kirche, die die Verweltlichung oder die Auslöschung nicht fürchtet.
Uns, liebe Schwestern und Brüder, soll diese Verheißung eines Evangeliums ‘von unten’, vom Straßenpflaster her, als Gegenmittel zu Hilfe kommen, gegen die Entmutigung durch unsere kleinen Mitgliederzahlen und des stetigen Schrumpfens.
Diese Verheißung des Evangeliums soll stattdessen eine Ermutigung sein, weiterzuweben am Netzerrk und Verbindungen zu bauen, um Gottes Liebe zu vervielfältigen.
Das Evangelium von Jesus Christus wird jedesmal verbreitet, wenn eine Eisatzgruppe “Frühstücks-Zeit” [ev.-meth. Aktion in oberital. Großstädten], eine Gruppe von Freiwilligen aus mehreren Gemeinden, Essenspakete an Wohnungslose verteilt, jedesmal, wenn wir als Kirchengemeinden vor Ort versuchen, den ungerechten wirtschaftlichen Nachteil von denen zu überwinden, die immer ärmer werden; jedesmal, wenn wir uns nicht nur mit Worten für Grundrechte und Demokratie einsetzen; jedesmal, wenn wir neue Gemendeveranstaltungen anbieten, um Menschen zu erzählen, wer Jesus Christus ist, gerade denen, die vielleicht nie in die Kirche oder zu einem Bibelabend kämen.
Und wenn selbst die Steine, die unbeweglichsten und leblosesten Dinge, die wir uns vorstellen können, Jesus Christus bezeugen können, was könnten wir jemals darüber hinaus tun?
Sicher könnten wir unsere Schuld bekennen: Wir können das Unrecht, die Auseinandersetzung, den Hass bekennen, die wir sahen, aber geschwiegen haben. Wir haben das alles sogar in die Welt hinaus verteilt, weil wir es nicht eindämmen konnten. Ja, und dann hätten wir von Gottes Reich sprechen sollen, das Jesus uns angekündigt hat.
Die gute Nachricht, die dieses Jesuswort uns anbietet, ist wieder einmal seine ganze Radikalität, seine ganze Unbequemlichkeit, aber ohne diese Anstrengung ist unser Glaube vergeblich.
Weil wir, jede und jeder, mindestens einmal die Versuchung spürten, uns persönlich aufzuschwingen zu Machthabern und Regierenden in unserer Welt, auch nur für eine Minute. Aber die Zeit ist gekommen, unsere Fehler anzuerkennen und der Welt etwas anzupreisen, das 850 Jahre Geschichte der Waldenser Kirche uns ganz klar zeigen: Das von der Kirche öffentlich verkündete Wort unterscheidet sich vom Grundton [wörtlich: Gemurmel, Rauschen] der historischen Epochen, weil es Jesus Christus ankündigt, einen König ohne Krone und einer anderen Art der Machtausübung, als die Welt. Diese Wahrheit wird sich nie zurückziehen [wörtlich relativieren], sie wird niemals aufhören.
Amen