«Guariscimi, o Signore, e sarò guarito. Salvami, e sarò salvo».
L’invocazione a Dio, che chiede soccorso, guarigione e salvezza, si colloca spesso, nella Bibbia, in un contesto conflittuale: c’è qualcuno che si rivolge a Dio e qualcun altro convinto che Dio sia schierato dall’altra parte, oppure sia assente. Chi implora salvezza da malattia e morte, scommette, nella Scrittura, sulla realtà del Dio che aiuta e sul fatto che egli è dalla parte di colui o colei che chiede: una situazione che di solito (come in questo passo di Geremia) è tutt’altro che ovvia.
La larga maggioranza dei nostri contemporanei, almeno nell’emisfero Nord del globo, ha risolto il problema eliminando del tutto Dio. Coloro che, invece, insistono a considerarsi «credenti» sono rimasti, per così dire, col cerino in mano, un cerino che consiste in una serie di domande che, quando la faccenda si fa seria, diventano piuttosto angosciose: davvero Dio aiuta? E come? Se aiuta, perché lo fa solo qualche volta? Quando si fa vivo, è davvero lui, oppure è la nostra fantasia che attribuisce a Dio una «salvezza» che proviene da tutt’altra parte? O forse Dio sostiene solo «lo spirito», ad esempio aiutandoci in qualche modo a sopportare la vita com’è (esiste anche un fatalismo «cristiano»), mentre «il corpo» va affidato agli strumenti «di questo mondo»?
Chi scrive è un pastore e insegnante di teologia, che ha avuto occasione di leggere diverse cose su questi temi. Non credo esista una dottrina teologica in grado di offrire risposte soddisfacenti. La Scrittura, di per sé, è molto chiara, afferma che Dio agisce nel corpo e nello spirito, e lo fa non a casaccio (oggi sì, domani no), bensì con fedeltà , ascoltando la preghiera. Proprio a questo punto, d’altra parte, scattano le domande che abbiamo menzionato. Esse non trovano una risposta generale, di tipo teorico, ma possono essere affrontate solo nella pratica, personale e comunitaria, della preghiera. Se e come Dio aiuta è questione che si dischiude all’interno del rapporto orante con lui. E proprio qui, come insegna Geremia, riemerge il conflitto. Dio è un interlocutore difficile, è premuroso, ma non «disponibile», cioè non riconducibile a un nostro programma, nemmeno di tipo religioso.
Ognuno, allora, è abbandonato a se stesso? Non proprio. I credenti raccontano («testimoniano») gli uni agli altri l’azione di Dio nella loro storia. Se e in che misura questa testimonianza possa davvero nutrire la vita, mediante la speranza, costituisce il contenuto della quotidiana battaglia della fede.