“Ascoltate la parola che il Signore vi rivolge, casa d’Israele! Così parla il Signore: Non imparate a camminare nella via delle nazioni, e non abbiate paura dei segni del cielo, perché sono le nazioni quelle che ne hanno paura. Ma il Signore è il vero Dio, egli è il Dio vivente, e il re eterno. Così direte loro: Gli dèi che non hanno fatto i cieli e la terra scompariranno dalla terra e da sotto il cielo”
Il blu è un colore ambiguo – la stessa parola in alcune traduzioni è definita attraverso altri nomi di colori, come porpora o viola. È un’ambiguità presente anche in italiano: usiamo quasi come sinonimi termini che hanno origini diverse: “blu” è parola di origine germanica; “celeste” latina, “azzurro” araba. Per Geremia era una “scelta di campo” rispetto a due scomodi e potenti amici/nemici del suo popolo: la splendida maschera mortuaria di Tutankamon è d’oro con intarsi blu, azzurri, porpora; le mura di Babilonia erano blu, azzurre. Il blu è un colore religioso: ricorda il cielo – parlarne è maneggiare qualcosa di ricco di sfumature, complesso, capace di trasmettere emozioni non banali. Come la religione, cosa ben più sfumata di quanto vorremmo. In poche righe Geremia dice tutto: atterriti da quel che accade in cielo, la religione è un modo per affrontare il terrore. Ma Geremia rovescia i termini: Dio ha disteso il cielo con la sua intelligenza, ci stimola a cercare nella nostra intelligenza un modo per abitare al meglio la vita. La religione ha a che fare con la paura; la fede con la fiducia. La religione mette davanti alla mia statua, la fede spalanca la finestra del cuore. A differenza dell’idolo, parla, si muove, vive!