«Sichem, figlio di Camor l’Ivveo, principe del paese, la vide, la rapì e si unì a lei violentandola.»
Dina è in giro per andare a trovare le sue amiche e viene violentata dal figlio di un uomo potente. Poi scompare dalla scena con il suo dolore, le sue lacrime, la sua vita ferita. Lui dirà di amarla, il padre di lui proporrà a Giacobbe, padre di Dina, un matrimonio riparatore. Ma la violenza dei maschi non si fermerà . Con l’inganno due figli di Giacobbe chiederanno la conversione a Israele di tutto il popolo nemico, abuseranno il nome di Dio, stabilendo una falsa alleanza per costringerli a far circoncidere tutti i maschi adulti.
Poi approfittando della loro convalescenza attaccarono la città , violentandone le donne e uccidendo tutti gli altri. Un genocidio. Giustificato alla fine del testo con le parole dei due figli: “Nostra sorella dovrebbe forse essere trattata come una prostituta?”. Dio si tira fuori da questa violenza maschile, Dio non c’è ma agirà nella vita di Giacobbe che in punto di morte condannerà i suoi figli per quanto hanno fatto con il suo permesso.
Ma nessuno di noi può tirarsi fuori da questa cultura che è la nostra, ancora impregnata di senso dell’onore e del possesso sul corpo delle donne. La storia di Dina e degli uomini che hanno agito violenza su di lei e contro altri uomini è la storia dei nostri giorni e della nostra società . Riscoprire questa storia, scoprire che anche qui Dina è rimasta sola e isolata, può essere per noi maschi la parola rivelatrice, quella che insegna a svelare la violenza che è dentro di noi e il bisogno di possesso che ci ottenebra i pensieri.