Non era facile. Una realtà assolutamente marginale e largamente sconosciuta all’opinione pubblica, come l’Unione delle Chiese metodiste e valdesi, accostata per un’oretta, sul palcoscenico dell’informazione globale, al personaggio più popolare del mondo. Si è invece realizzato quanto aveva annunciato il moderatore della Tavola valdese, Eugenio Bernardini: un incontro tra cristiani sobrio e fraterno. Ciò è bastato (ma in realtà non è affatto poco) per relativizzare l’ossessione mediatica e le sue conseguenze, dirette e indirette, ponendo al centro quel che conta.
Un incontro tra cristiani: cioè in un clima di preghiera, cantata dai due cori e da tutti presenti (peccato solo per uno strano malinteso nell’ultimo inno) e recitata (Padre nostro). Anche, e proprio, la preghiera può facilmente diventare, specie sotto i riflettori, formale e coreografica, ma in questo caso la semplicità ha aiutato. La preghiera è stata lo spazio di espressione dell’assemblea.
Un incontro sobrio. È noto che Francesco ha un talento per la sobrietà . Paradossalmente, o forse no, la sua naturalezza è assai spesso salutata da sospiri di emozione e fuochi d’artificio di superlativi da parte dei suoi chiassosi cantori, ma ciò non le impedisce di risultare fresca e accattivante. Quanto ai protestanti, essi amano presentare la sobrietà come una specialità della casa e qualche volta, almeno un poco, è anche vero. Suggerirei di leggere in questa prospettiva di sobrietà anche l’aggettivo «storico », utilizzato ripetutamente, prima e durante l’incontro, per caratterizzarlo. Esso è certamente giustificato, visto che si tratta di una prima assoluta; se, poi, si sia assistito a una «svolta» ecumenica, o anche solo al segnale di una decisa accelerazione, può dirlo solo il futuro.
Un incontro fraterno. Il Moderatore ha espresso tale fraternità in tre punti. Anzitutto il fatto che la visita papale supera un passato oscuro; quindi la sottolineatura di quanto unisce, compreso lo sdegno e l’impegno per quanto accade «da Lampedusa a Ventimiglia»; e poi la menzione di due nodi teologici, ma prima ancora spirituali: l’assenza di ospitalità eucaristica e la nota distinzione romana tra «chiese» (quelle cattolica e ortodossa) e «comunità ecclesiali» (quelle della Riforma). Il papa ha ripreso con estrema prudenza il primo elemento, menzionando un bel gesto simbolico avvenuto a Pinerolo come occasione di «pregustare, per certi aspetti» (espressione ripetuta, per sottolinearla) la futura comunione; il secondo non è stato toccato nell’intervento del pontefice, il quale, comunque, ha anche evitato l’espressione «comunità ecclesiali».
Rimangono anche differenze «antropologiche ed etiche»: la visione dell’essere umano, sottesa all’etica, mi sembra in effetti un tema impegnativo e urgente, non solo sul piano teologico in senso tecnico, ma anche su quello spirituale. Incontro «fraterno » non significa dunque «reticente», bensì l’esatto contrario.
«Fratelli», un titolo altissimo. I cristiani si chiamano tradizionalmente, tra loro, «fratelli» e con questo titolo, altissimo, ma non consueto in chi si indirizza al papa, si sono rivolti a Francesco il pastore Paolo Ribet, il moderatore, la presidente metodista Alessandra Trotta e il presidente del Concistoro di Torino, Sergio Velluto. Non so come l’opinione pubblica abbia avvertito l’uso di questo appellativo (esistono vere e proprie scuole di pensiero sull’uso dei titoli in ambito ecumenico), ma nella circostanza esso è risuonato nella sua matrice biblica, il che lo ha reso anche naturale e affettuoso. Al clima fraterno e sororale ha giovato una certa coralità da parte evangelica: il pezzo forte è stato il discorso del moderatore, La richiesta di perdono. com’è ovvio, ma mi pare che tutti coloro che hanno preso la parola abbiano recato un contributo non formale.
I primi commenti si concentrano sulla richiesta di perdono formulata dal pontefice, a nome della sua chiesa, per i comportamenti «non cristiani, persino non umani» del passato. Si tratta di un tema complesso, già molto discusso in seguito alle dichiarazioni analoghe di Giovanni Paolo II. È possibile chiedere perdono «al posto» dei colpevoli veri e propri e perdonare «al posto» delle vittime? Credo però che le parole papali possano essere intese in un senso più semplice: egli sa di parlare a nome di una chiesa che viene da una storia contraddittoria, carica di frutti della grazia di Dio, ma anche di peccato; il che, in forme diverse, vale per tutti. La comunione dei santi è anche comunione di peccatori.
Non ci sono stati «sbandamenti». Qualcuno, tra gli evangelici, temeva pericolosi sbandamenti, omologazioni, o simili, dei quali (naturalmente, mi permetto di dire) non credo vi sia stata traccia. È vero invece che un evento del genere è stato possibile grazie all’impegno di generazioni di cattolici e protestanti che hanno creduto nel dialogo ecumenico e che, d’altra parte, si tratta ancora di un passo iniziale. Per il momento, potrebbe bastare questa constatazione, formulata nello stesso spirito dell’incontro: sobrio e fraterno.
Tratto da Riforma del 3 luglio 2015