«Maria serbava in sé tutte queste cose, meditandole in cuor suo». Luca 2,19 (Luca 2, 1 – 20)
Le donne hanno sempre avuto più memoria degli uomini, in particolare per tutto quello che riguarda la nascita dei loro figli. Gli uomini cercano di rimuovere presto l’esperienza imbarazzante della loro totale impotenza, dopo aver assistito alla nascita di un loro figlio; partorire è una cosa che la donna fa da sola, e l’uomo si sente, in quel momento, l’essere più inutile del mondo. Non stupisce quindi che Maria serbava in sé tutto quello che era successo intorno alla nascita del suo primo figlio. Era, come per ogni donna, il suo momento.
Maria ricordava tutto. Il momento di panico, quando si accorse ancora per strada che il bambino stava per nascere, la ricerca disperata di un posto dove potersi fermare, mentre lei quasi non ce la faceva più. Poi la grotta. Della puzza di asino lei si era accorta soltanto dopo. Giuseppe si era dato un gran da fare per sistemare alla bell’e meglio quel luogo.
Alla fine tutto era andato bene. Ero esausta, ma anche felice. Avevamo avvolto il neonato in tutti i panni che avevamo con noi per tenerlo al caldo. L’avevo adagiato per qualche momento su della paglia nella mangiatoia, quando sentivamo arrivare gente. Giuseppe si allarmò, ma erano soltanto dei pastori. Volevano vedere il mio bambino. Dicevano delle cose strane, raccontavano di un angelo che aveva annunciato loro la nascita del mio bambino, della gloria del Signore che aveva illuminato la notte. Allora erano venuti per vedere.
Nella memoria di Maria era rimasto impresso il modo con cui quei pastori avevano guardato il bambino, con riverenza, come si guarda un signore, quasi con adorazione. Che cosa avranno visto? Maria guardava il suo bambino, ma non vedeva nulla. Era soltanto un bambino, il suo bambino. Ma il ricordo di quegli sguardi suscitava in lei una piccola inquietudine, un miscuglio di curiosità e preoccupazione, come se questo bambino nascondesse qualcosa che lei non sapeva ancora.