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Felicia Gioia: diacona della chiesa metodista, al Centro «Emilio Nitti»

Felicia Gioia, il cui nome augurale non ha corrisposto al destino che ha avuto, da tutti chiamata Mena, diacona della Chiesa metodista, in servizio presso il Centro «Casa mia – Emilio Nitti», è mancata ieri, dopo tre mesi di lotta strenua, quanto vana, con un male che l’ha colpita all’improvviso e crudelmente, all’età  di soli 57 anni. La voglio ricordare innanzitutto nel suo ruolo di diacona.

Mena appartiene a quella generazione di credenti, di convertiti, in un contesto difficile, quello della diaspora evangelica meridionale, che si sono formati fin da bambini intorno al Centro «Casa mia», quando aveva sede nel cuore storico di Ponticelli, periferia degradata di Napoli. Mena e Salvatore, li dobbiamo nominare insieme (per me sarà  sempre così), con Enzo e Patrizia Tammaro, con i loro figli e tanti altri fratelli e sorelle, hanno ricevuto il testimone della fede dalla generazione che li ha preceduti, Teofilo Santi, Paolo Sbaffi, Emilio Nitti, Sergio Aquilante, e hanno impegnato la loro vita nella testimonianza dell’Evangelo. Così è nato il lavoro del Centro sociale; così, intorno a esso, è sorta la piccola e attiva comunità  metodista di Ponticelli. In un contesto difficile fatto di arretratezza culturale, diffidenza e povertà  materiale e morale, Mena, col suo impegno sociale al Centro, insieme a tutti questi fratelli e sorelle, ha svolto un difficile lavoro che potremmo definire di “mediazione culturale”, per trasmettere il senso della solidarietà , la fiducia nel cambiamento contro lo scetticismo, e la speranza cristiana. Siamo oggi grati a Mena di tutto questo.

Voglio poi ricordare Mena come donna e come madre.
Qualche tempo fa, quando sembrava nascere la speranza che potesse riprendere conoscenza, parlavo con sua figlia Sara, che mi raccontava dei suoi studi, e Sara ebbe questa uscita: «Rosanna, devo studiare, perché, se non studio, quando mamma si sveglia, mi uccide». Mena è stata una madre attenta, intelligente, consapevole dell’importanza che lo studio, la formazione culturale e umana sono le condizioni indispensabili della crescita personale, dell’assunzione di responsabilità  e di scelte consapevoli. Mena era orgogliosa dei successi scolastici di Sara, come delle precoci attitudini e interessi di Elia, che tutti conosciamo, volte a inserirsi nel lavoro della chiesa.

Infine, voglio ricordare un tratto caratteristico di Mena come donna.
Mi ha sempre colpito il suo modo di intervenire concreto, un po’ ruvido e terribilmente diretto, quando, non molto di frequente, per la verità , prendeva la parola in assemblea. Si coglieva in lei una tensione, la denunzia costante di uno scarto tra la realtà  come è, e la realtà  come dovrebbe essere, tra il dire e il fare, l’aspirazione a sciogliere la contraddizione nella quale tutto il nostro umano operare è avvolto, nella prospettiva e nell’attesa della novità  di Dio. Per questo, a Salvatore che mi è caro come fratello, e a Sara ed Elia dico con le parole del libro dell’Apocalisse: «Poi vidi un nuovo cielo ed una nuova terra… udii una gran voce dal trono che diceva: egli abiterà  con loro… egli asciugherà  ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà  più la morte, né cordoglio, né grido né dolore, perché le cose di prima sono passate…» (Ap. 21).

Tratto dal settimanale Riforma del 10 aprile 2015

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