La fede cristiana si configura come un’esperienza umana che risponde a una parola che viene accolta come parola di Dio
“In questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi“.
Ebrei 1, 2
Di fronte allo smarrimento dei suoi ascoltatori, il predicatore della Lettera agli Ebrei apre il suo discorso con un inizio folgorante, un vero compendio della fede cristiana: «Dio ha parlato e lo ha fatto attraverso suo Figlio». Riecheggia in queste parole l’inizio dell’Evangelo di Giovanni in cui il Cristo è definito la Parola di Dio, attraverso cui il mondo è stato creato. «Qual è, si chiede il teologo Karl Barth, il contenuto della Parola che l’uomo Gesù pronuncia in mezzo al cosmo, tra gli altri uomini? La più semplice risposta possibile è che questo contenuto è lui stesso. Egli parla già per il fatto di esistere. Già per il fatto che egli è, egli è la Parola di Dio». Siamo dunque gettati fin dall’inizio, nel bel mezzo della comprensione della fede cristiana: Gesù di Nazareth, il Cristo, il Figlio di Dio è la sua Parola. Non si tratta di un insegnamento, di un ammaestramento sul senso della vita. Si tratta di una persona. E questo è il fatto più strabiliante della nostra fede: il Creatore, Colui del quale non ci è lecito neppure pronunciare il nome, ha condiviso la natura stessa della sua creatura, mettendosi in gioco nella mutevole e fragile realtà dell’essere, caricando su di sé la “fatica del vivere”: «Nei giorni della sua carne – dice il nostro predicatore – con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte … Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì» (Ebr. 5,7). Quasi a commento di questa affermazione, il professor Fulvio Ferrario afferma: «La fede cristiana si configura dunque come un’esperienza umana che risponde a una parola che la precede e che viene accolta come parola di Dio».