«Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà , fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.»
È risaputo che i catechismi di Lutero non riproducano il divieto delle immagini. Diversamente da Zwingli e Calvino, Lutero era anche contrario all’iconoclastia. Ciò non toglie che anche lui si è dedicato al problema dei falsi dèi. Nel Grande catechismo, interpretando il Primo comandamento, egli ci intima alcuni degli idoli del suo tempo: «C’è chi pensa di avere un Dio e abbastanza di tutto se possiede denaro e beni; se ne fida e vanta con una tale rigidità e sicurezza da non rispettare nessuno. Ecco, anche lui ha un Dio: si chiama mammona, cioè soldi e beni, cui attacca il suo cuore». Naturalmente Lutero denuncia anche la venerazione dei santi. Forse più pertinente per noi, invece, è un altro idolo che identifica: «Anche chi si fida e vanta delle sue capacità , conoscenze, poteri, favori, amicizie e onori ha un Dio, che non è l’unico vero Dio». Di nuovo: in fondo la questione più profonda non è se mi dichiaro credente o ateo (per quanto sia importante), ma il vero problema è di che cosa mi fido. Forse le polemiche contro il Dio mammona e contro il culto dei santi oggi suonano un po’ logore; ciò non toglie che ripropongono sempre la stessa bruciante questione: penso io di poter farcela con ciò che sono e posso – oppure riconosco la mia dipendenza totale da un altro, ricavandone speranza, non disperazione?
Merita attenzione l’elenco di dèi della quotidianità offerto da Lutero: la fiducia nelle proprie competenze e capacità , quella nel proprio potere, anche la fiducia nelle proprie relazioni, ovvero quell’idea che ci sarà sempre qualcuno che mi dovrà un favore, che ci sarà sempre un “amico degli amici”, ugualmente la presunzione che la mia dignità sia tale da distinguermi dagli altri e da darmi sicurezza. Abbiamo imparato che la giustificazione stabilita da Dio in croce è relazionale, non sostanziale; per questo siamo giustificati per fede. Ciò non toglie che bisogna teneri fermi due punti. Anzitutto, Dio non diventa un nostro “compagno”; inoltre, tra noi umani ci sono a volte relazioni di dipendenza reciproca che possono soltanto essere chiamate malate e distruttive; possono dominarci e condizionarci fino al punto di diventare degli idoli – oppure assumere tratti diabolici. Tra di noi, anche le relazioni devono avere le loro giuste misure creaturali, non devono essere divinizzate. Abbiamo dunque buoni motivi d’interrogarci: quali sono i nostri idoli?