«Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me.»
Secondo Lutero, la domanda che a noi si pone di fronte a questo comandamento non è se siamo credenti o atei ma in che cosa crediamo veramente, ovvero di che cosa ci fidiamo. Nel Grande catechismo, egli scrive: «Se la fede e la fiducia sono buone, è buono anche il tuo Dio. Laddove invece la fiducia è sbagliata e ingiustificata, là il Dio buono non c’è. Poiché queste due cose sono inseparabili: la fede e Dio. Dico: Ciò cui attacchi il tuo cuore e di cui ti fidi, questo in realtà è il tuo Dio.»
Quest’ultimo pensiero non è neanche una novità ; compare già nella patristica. Resta, però, la questione: in che modo si concretizza questo criterio nella mia vita? Il testo biblico indica un argomento molto elementare e chiaro: la fede nel Dio vero è identica a quella nel liberatore del suo popolo dalla schiavitù in Egitto. Colpisce che Lutero nelle sue riproduzioni catechetiche del Decalogo escluda sempre tali riferimenti alla “storia della salvezza”. La vera ragione per questo non risiede, a mio avviso, nell’attitudine negativa che coltivava (come altri riformatori e cattolici del tempo) nei confronti degli ebrei. Il motivo profondo mi sembra un altro: Lutero ha visto che troppo spesso chi crede una tale liberazione non la sperimenta. Oppure, per dirla in maniera ancora più dura: il Figlio stesso di Dio è morto in croce gridando «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Credere nel Dio diventato uomo in Gesù Cristo non vuol dire credere di farcela oppure credere di avere Dio dalla propria parte per avere successo oppure per imporsi contro qualcuno. La fede in Gesù Cristo crea speranza, sì, ma è un’altra, che non è neanche una proiezione in cielo delle speranze umane deluse durante la vita. È questa la “teologia della croce” di Lutero, che è assai restia a concezioni trionfaliste di “storia della salvezza” – anche se proprio questo a volte non è stato visto.
Allora, come circoscrivere la fede nel Dio vero, che è comunque Colui che ha incaricato Mosè e che si è incarnato in Gesù Cristo? La chiave di volta trovata da Lutero per rispondere a questo interrogativo è la Lettera ai Romani, che annuncia la giustificazione per fede soltanto e non per opere (Romani 3,28). La fede di cui sopra è fede veramente, poiché è rinuncia all’idea di potercela fare in qualche modo, è riconoscimento che non dipende da me ciò che sono, ciò che mi contraddistingue. Sì, comprendo di essere sottratto a me stesso, ed esattamente in questo trovo non una minaccia ma una consolazione. Insegnando così, Lutero non ha mai negato la responsabilità etica dell’individuo, ma ha identificato un centro esistenziale più profondo delle scelte etiche – ed è a questo livello che ci ha inviatati, riferendosi al Primo comandamento, di fidarci – perché questa fede è giustificata perfino quando è in contrasto con le apparenze.