«Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me. Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso».
Nelle ultime settimane, queste brevi meditazioni si sono dedicate al Primo comandamento e alla lettura che ne ha dato Martin Lutero nel Grande catechismo del 1529. Potrebbe sembrare come se questo precetto fosse del tutto a nostro favore, magari a scapito di altri: quelli che venerano una pluralità di dèi o di figure divinizzate, quelli che – ai nostri occhi – hanno come il loro dio il mammona, la carriera e tante altre cose. In questo tipo di lettura del Primo comandamento si nasconde, però, un rischio. Scrive Lutero: «Oltre a tutto questo, c’è ancora un altro tipo di culto sbagliato e di massiccia idolatria, ed è quella che finora abbiamo praticata e che governa ancora nel mondo. Quest’idolatria […] riguarda esclusivamente la coscienza, che ricerca aiuto, consolazione e beatitudine nelle proprie opere e vuole costringere Dio a scendere dal cielo». L’idolatria più grave, dunque, non si manifesta in atti visibili ma nella coscienza. È questo uno dei motivi più profondi per cui Lutero non era favorevole all’abolizione delle immagini nelle chiese – semplicemente perché a suo avviso non risolveva il problema. Giustamente si può ricordare che in seguito alla citazione data sopra Lutero elenca tutta una serie di pratiche che contesta alla chiesa cattolica del suo tempo. Ciò non toglie, però, che nel suo senso più serio l’idolatria è una questione di coscienza, che riguarda tutti.
Le parole con cui il riformatore di Wittenberg circoscrive questa deriva della fede sono incisive: «ricercare aiuto, consolazione e beatitudine nelle proprie opere e voler costringere Dio a scendere dal cielo». Sì, ci risulta facile parlare della giustificazione per fede soltanto, ma quando lo facciamo, che cosa ci anima? Vogliamo dare testimonianza della liberante fiducia in Cristo, regalo di uno più potente di noi, oppure ci diamo da fare per mostrare la nostra superiorità ? A volte, perfino chi difende l’impotenza umana nei confronti dell’Onnipotente lo fa (anche) per imporsi e per far valere il suo punto di vista. Com’è difficile, nel momento del dissenso e dello scontro, non tirare Dio giù dal cielo in terra per arruolarlo dalla propria parte! Esattamente questo, però, ci chiede il Dio che si è manifestato a Mosè e che è già sceso verso di noi in Cristo, essendo con noi in piena libertà e senza farsi tirare.