«Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sulla vostra ira.»
Nel contesto storico attuale, di fronte all’esplosione di violenza (fisica e verbale) in ogni parte del mondo c’è chi chiede a gran voce che alla violenza si risponda con una violenza maggiore, tanto che viene da domandarsi se abbia ancora senso fermarsi sul concetto di amore – che pure è centrale nel Nuovo Testamento. Molti sono quelli che invocano la distruzione fisica dei combattenti dell’Isis e dei terroristi che possono infiltrarsi in qualunque momento, in qualunque luogo.
Torna alla mente una frase di Erasmo da Rotterdam, il quale, commentando il detto latino “la guerra piace a chi non la conosce”, osservava: «Io non condivido mai la guerra, neppure quella contro i Turchi […] Ciò che si conquista con la violenza, lo si perde nello stesso modo. “Ma perché – sento dire – non dovremmo poter sgozzare quelli che vengono a sgozzarci?”. A costoro rispondo: “Vi sembra davvero così inaccettabile che altri siano più crudeli di noi?”».
Sono parole di una semplicità disarmante e forse dobbiamo domandarci se non sia proprio l’agape l’unica risposta realistica all’odio e alla contrapposizione.
Ma come interpretare la strana esortazione di Paolo: «adiratevi e non peccate»? Sembra una contraddizione. Io leggo queste parole come un invito a non farsi prendere la mano dall’ira o, peggio, della paura, perché queste sono sempre cattive consigliere sia sul piano dei rapporti personali che su quello dei rapporti fra i popoli. Chi agisce in base all’ira o alla paura si muove per istinto e la sua capacità di raziocinio rimane offuscata. Rispondendo al male con un male superiore si innesca una catena di cui non si conosce l’esito. Dunque, sembra dire l’apostolo Paolo: di fronte al male, indignatevi, perché l’indignazione è giusta ed è un segno di attenzione morale; ma non fatevi prendere dall’ira perché questa produce dei danni difficilmente riparabili.