«Ricordatevi dei carcerati, come se foste in carcere con loro»
Ecco il carcere come luogo dei dimenticati, di coloro che la società ha affidato alla giustizia e di cui non si occupa più. La lettera agli Ebrei ci invita a “ricordare”. Non un ricordo generico e superficiale, ma un ricordo nel quale mettiamo la nostra vita accanto alla loro. E questo atteggiamento ci darà la forza di impegnarci in vari modi per far sì che non possano essere dimenticati. E a chiederci: cosa farei io se fossi lì con loro? Come vorrei che il mondo esterno si comportasse con me?
Molti rispondono banalmente che chi è in carcere se lo è meritato e che chi ha commesso certi crimini non merita nemmeno di essere ricordato: molti di coloro che danno queste risposte si professano cristiani. Dobbiamo essere coscienti che la Parola ci interroga e ci pone davanti ad un impegno: smascherare il nostro desiderio di giustizia per farsi vicino anche a coloro che hanno sbagliato. Gesù disse che «non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati» (Matteo 9:12) e per questo la sua Parola deve giungere proprio e soprattutto a chi ne ha bisogno. La malattia che ha pervaso coloro che si sono resi colpevoli di reati orribili contro persone innocenti ed indifese, non ci permette di relegarli nell’oblio della dimenticanza.
Dio non si dimentica di nessuno dei suoi figli e vuole che anche noi non ce ne dimentichiamo. Porsi al fianco di chi è in carcere ci aiuterà a capire come il male possa impossessarsi di un essere umano e di quanto il bene che viene dalla parola di Dio possa essere liberante. E’ lo Spirito di Dio che ci manda: Egli ci manda ad annunciare «l’apertura del carcere ai prigionieri» (Isaia 61:1), un carcere non fatto di mura e sbarre, ma del peso delle proprie colpe o, ancor peggio, dall’orrore della propria indifferenza per il male commesso.