Un nuovo appuntamento con la rubrica “Un pensiero in libertà”
«Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto una forza, a causa dei tuoi nemici, per ridurre al silenzio l’avversario e il vendicatore», così recita il Salmo 8. Gesù rivolge polemicamente questo versetto contro sacerdoti e scribi, indignati perché i bambini nel Tempio lo osannano come nuovo re davidico: «Non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto lode?» (Mt. 21,16).
Lʼidea che i più deboli e inermi, in primo luogo bambini e lattanti, siano resi da Dio una forza, a sua gloria, ricorre in più punti dellʼAntico come del Nuovo Testamento. Paolo riassume questo nella frase paradossale rivoltagli da Dio: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è perfetta nella debolezza» (2 Cor. 12,9).
Come non pensare alle centinaia di migliaia di bambine e bambini inceneriti meno di un secolo fa nei campi di sterminio nazisti – e oggi, per citare un solo caso, alle migliaia e migliaia di bambine e bambini vittime dello sciagurato conflitto a Gaza? Come non chiedere, rivolti al cielo, dove possano scorgersi in tutto ciò la forza e la maestà di Dio – contro quali nemici poi! – senza vedervi altro che una immane e cieca potenza di produzione e distruzione? Dalla bocca di quali lattanti dovremmo discernerne la lode? Dovʼè la giustizia? Dovʼè lʼumanità?
Sono domande crude, che nessun animo che appena si pretenda umano può evitare né risolvere, in questa o in altra forma. Anche chi crede in Dio non può che gridarle a lui, attendendo in silenzio una risposta. Se vengono evitate è solo con lʼassunzione di un contegno appunto disumanizzante, comʼè di recente capitato di udire: “Definisci bambino”…
È però possibile un altro approccio. Nel libro Il principio responsabilità, il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas scriveva che, in questʼepoca tecnologica, per fondare unʼetica laica – cioè senza ricorso a dogmi di fede – occorre trovare un punto nel quale “essere” e “dover essere” coincidano; qualcosa che, per il solo fatto di esistere – senza neppure chiedere o invocare – esige moralmente, senza scuse, da chiunque lo circondi che lo si faccia esistere. Questo qualcosa è «il neonato, il cui solo respiro rivolge inconfutabilmente un “devi” allʼambiente circostante affinché si prenda cura di lui». Il suo semplice esistere decide della nostra umanità.
Ecco la base concreta di ogni altro dovere morale: la «forza» che dalla bocca dei lattanti, quali noi tutti siamo stati, riduce al silenzio lʼavversario. Che giudica cioè senza appello il rifiuto di essere umani.
