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Donne nel ministero della predicazione: spunti storici

Nel primo semestre dell’anno accademico 2016/17, il corso seminariale di storia del cristianesimo alla Facoltà  valdese di teologia è stato dedicato all’apertura del ministero ecclesiastico alle donne nelle chiese evangeliche.

Già  nell’unità  dei Fratelli boemi del XV secolo è documentato un anzianato responsabile per la cura d’anime a seconda del sesso, «affinché ogni singola persona sia ascoltata dai suoi anziani preposti nel Signore Cristo, i fratelli da fratelli e le sorelle da sorelle»1. Questo modello avrà  un impatto diretto sull’Unità  dei Fratelli moravi costituita nel XVIII dal conte Nikolaus Ludwig von Zinzendorf e, grazie alla sua mediazione, sul metodismo wesleyano.

Nella Riforma del XVI secolo, l’abolizione dell’idea specificamente sacerdotale del ministero comporta qualche apertura verso la predicazione delle donne, che resta, però, in buona parte teorica. È paradigmatica la posizione di Martin Lutero, secondo cui lo Spirito elegge alla predicazione esclusivamente degli uomini – affermazione relativizzata con le parole «tranne in casi di emergenza»2. Sulla sua scia, l’argomento dell’«emergenza» sarà  utilizzato fino al XX secolo per giustificare la predicazione delle donne.

Già  il riformatore italiano Pietro Martire Vermigli, però, rapportò criticamente l’intimazione paolina che la donna dovesse tacere nell’assemblea (I Cor 14,34) alla I Cor 11,5 (la donna che parla in assemblea deve indossare un velo), sostenendo che in realtà  quest’ultimo versetto documentasse la predicazione pubblica di donne ai tempi degli apostoli3.

Una prassi di predicazione femminile è documentata nelle chiese nate dalla Riforma nel pietismo radicale (con le profetesse ispirate), nel metodismo e poi, nel XIX secolo, in diverse denominazioni degli Stati Uniti. Nelle chiese protestanti continentali costituite in enti morali un’apertura del pastorato alle donne avviene soltanto nel XX secolo, contestualmente al declino del ministero della diaconessa, concepito nel XIX secolo come ministero specificamente femminile.

In linea di massima, nelle chiese protestanti tedesche, francesi, svizzere e italiane, quest’apertura si verifica in maniera sincronica. Negli anni ’20 si procede alla creazione di un ministero di teologa “vicaria” oppure “aiutante”, al quale la candidata, laureata in teologia, fu introdotta mediante una consacrazione che le consentì la predicazione pubblica (a volte limitata a determinate sedi e senza autorizzazione all’amministrazione dei sacramenti), imponendole il celibato. L’ammissione regolare delle donne al pastorato avviene poi tra gli anni ’40 e ’70. Senza dubbio, questo sviluppo rispecchia trasformazioni sociali e mentali a larga scala.

Chi per questo motivo considera l’apertura del pastorato alle donne come una resa allo “spirito del tempo” deve però fare i conti con l’obiezione di difendere da parte sua lo “spirito del tempo precedente”.

Note:

  1. Accordo dei Fratelli boemi nella montagna di Rychnov, 1464, ed. in Amedeo Molnà¡r, ÄŒeskobratrskà¡ và½chova pÅ™ed Komenskà½m, 1956, pp. 47-52
  2. WA, vol. 50, 633
  3. cfr. John Lee Thompson, Calvin and the Daughters of Sarah. Women in Regular and Exceptional Roles in the Exegesis of Calvin, His Predecessors and His Contemporaries, 1992, p. 195
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