La certezza della fede si incardina su una promessa di liberazione che non potrà mai venire meno
“Ma ora parla così il Signore, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele! Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio!“.
Isaia 43,1
Giacobbe non è solo il nome di uno dei patriarchi ma è anche il nome collettivo ideale della comunità giudaica in esilio. Il nome che Dio gli donerà dopo la spaventosa lotta con l’angelo (perché rispondere alla chiamata impegna ogni parte di sé) è Israele. Il Signore rassicura il suo popolo, creato e modellato per rispondere alla vocazione esigente che ha ricevuto: un dialogo costante con Dio in un serrato confronto con la sua Parola.
Ad ogni generazione Dio rivolge una vocazione e su ogni generazione grava il peso del peccato per averla tradita. Succede, infatti, che la chiamata, seppure dono della grazia, venga avvertita come scomoda rinuncia alla propria indipendenza. Ma anche quando i figli e le figlie prendono altre vie, il Padre non cessa di essere il Padre, e va a cercarli ancora e di nuovo. Dio per amore delle sue creature torna ad accompagnarle nelle burrasche dell’esistenza. Questa vocazione che si rinnova, come eco di un antico annuncio di salvezza, parla della fedeltà amorevole di Dio e chiama i credenti alla medesima fedeltà. Non ci saranno meno pericoli e meno rischi da affrontare, ma la certezza della fede si incardina su una promessa di liberazione che non potrà mai venire meno.
Così come li aveva protetti dalle paure del deserto, ora ritorna a prendersene cura. La vita può ricominciare. Il perdono cancella i gesti del passato e la promessa di un nuovo inizio fa sì che il passato non sia accaduto invano. La giustizia divina, nella sua misericordia, riscatta dalla sua storia il credente di ogni tempo.
