«Non è dunque per la tua giustizia che il Signore, il tuo Dio, ti dà il possesso di questo buon paese; perché sei un popolo dal collo duro. Ricà³rdati, non dimenticare come hai provocato all’ira il Signore, il tuo Dio, nel deserto».
Quello della memoria da conservare è un preciso comandamento biblico. Ricà³rdati… non dimenticare! Il credente non può dimenticare, non può perdere e confondere la memoria.
Questa “memoria” che costituisce – o dovrebbe costituire – una caratteristica fondamentale dell’identità ebraico-cristiana, però, non è un esercizio di tipo meramente intellettuale. I credenti non sono semplicemente degli “appassionati” di storia, che coltivano la memoria per loro interesse personale. La memoria biblica è una memoria attualizzata, è partecipazione appassionata al passato per vivere il presente e il futuro.
Ed è anche memoria critica e autocritica. Non è autocelebrazione, non è creazione di una mitologia. Al contrario: nel momento in cui Israele sta per entrare nella Terra Promessa, Mosé gli ricorda che non è certo per i suoi meriti che questo accadrà , e gli ingiunge di ricordarsi e di non dimenticare la sua disubbidienza: perché nel deserto, Israele ha dimenticato le catene d’Egitto, e ricorda solo il pane e le pignatte colme di carne. Il popolo ha dimenticato gli orrori del fascismo, e ricorda solo che i treni arrivavano puntuali.
Abbiamo bisogno di coltivare la memoria, in un mondo che sembra vivere senza memoria. Le notizie, «i casi» non sembrano sopravvivere nei nostri telegiornali per più di tre giorni. La comunicazione televisiva, internet, sono comunicazione senza memoria. Tutto avviene solo ed esclusivamente in tempo reale. Oggi è il centro del mondo, domani non conta più. E questo è pericoloso.
Abbiamo bisogno di coltivare la memoria non come autocelebrazione, ma per non ripetere gli errori del passato, per non dimenticare come «abbiamo provocato ad ira l’Eterno».