L’incontro promosso dalla Conferenza delle chiese europee a Varsavia dal 9 all’11 dicembre
Dalla teologia della pace allo scontro fra guerra e diritti umani, la conferenza organizzata dal programma della Conferenza delle chiese europee Pathways of Peace per una pace giusta in Ucraina ha toccato molti punti spinosi delle nostre teologie e delle pratiche delle chiese in Europa.
Molto coinvolte le chiese ucraine che andavano da quella battista a quella luterana ai diversi patriarcati autocefali del paese. Le testimonianze più strazianti delle sofferenze delle persone in Ucraina sono naturalmente venute da loro, compreso il disegno animato di bombe che distruggono case e alberi fino a far cadere il sangue del crocifisso sulla terra che, attraverso dolore e speranza, porta alla rinascita della natura e della società.
I primi a parlare sono stati teologi del mondo quacchero e nonviolento, per dare all’incontro il tono di un approfondimento sulle teologie della pace e non quello di politiche ecclesiali. Che pure ci sono state, sia quando il metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina Epifanio ha portato la lettera che ha scritto al metropolita Onofrio della Chiesa ortodossa russa in Ucraina, per provare ad avere nuovi rapporti senza pregiudizi; sia con le testimonianze del pastore
battista e di molti presidenti o moderatori di chiese dell’area dell’Europa centro-orientale. Anche il Consiglio ecumenico delle chiese (WCC) ha dato il suo apporto attraverso il racconto fatto da Peter Prove degli incontri del presidente WCC con il patriarca di Mosca Kyrill. Inutile portare qui tutti i nomi di chi è intervenuto, tra cui anche la sottoscritta e il pastore Luca Baratto, in rappresentanza della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (per approfondire si possono vedere alcuni video disponibili sulla pagina web della Conferenza delle chiese europee: https://ceceurope.org/churches-seek-pathways-just-peace-times-w).
Riporto qualcuno dei punti più importanti toccati. Non ci può essere pace senza giustizia e senza che l’aggressore ammetta la sua colpa. Infatti, è proprio nel mezzo della guerra che le chiese devono rispondere della loro vocazione ad essere facitrici di pace, come ha detto il presidente del Consiglio delle chiese cristiane della Polonia.
Il prof. Fernando Enns, che si occupa di teologia ed etica della pace, ha mostrato lo sviluppo del concetto di pace giusta in ambito ecumenico, fino ad arrivare ai documenti della Convocazione mondiale per la pace del Wcc a Kingston nel 2011. Si dovrebbe riportare in primo piano il documento che abbiamo anche in traduzione italiana: https://www.nev.it/nev/2011/05/25/kingston-chiusa-la-convocazioneecumenica-internazionale-sulla-pace/
Il documento di Kingston individua quattro ambiti di azione: pace nella società, con la terra, nell’economia e tra i popoli. A questi quattro poli, ha detto Enns, ne va aggiunto un quinto: la pace dentro di sé come spiritualità trasformativa, ben rappresentata dalla croce come identificazione di Gesù con gli oppressi, e dall’eucarestia come superamento della violenza.
La teologa Christine Schliesser ha poi messo in tensione la classica giustificazione teologica della guerra giusta con la trasformazione delle guerre. Una comunità che vuole costruire dinamiche trasformative di pace deve applicarsi alla struttura di giustizia della società. Una pace sostenibile richiede anche istituzioni giuste, in grado di proteggere le persone e prevenire le violenze. Si sviluppa nella giustizia climatica, a fronte delle sfide di cyber attack, ma anche di politiche identitarie e populiste che mettono in crisi la capacità di un dialogo multilaterale. L’esempio di ristabilimento di giustizia nella società di cui Schliesser ha dato testimonianza diretta è quello del Ruanda, dopo il massacro di più di un milione di Tutsi. La precondizione per la giustizia ricostruttiva è il dire la verità, documentando i crimini. In Ucraina questa precondizione ancora non c’è. Non c’è dubbio che la religione sia stata fortemente strumentalizzata in questa
guerra, piegando testi biblici per legittimare la parte russa come ultimo difensore dei valori cristiani in Europa. Ma le chiese possono essere comunità controculturali anche in tempo di guerra, se riescono a non demonizzare il “nemico” e a continuare a parlargli, a sconfiggere la paura con l’amore. Al tempo stesso, a una domanda precisa sul ruolo dei cappellani militari, è stata data questa risposta, bella nella sua drammaticità: l’esercito ucraino non è fatto di professionisti, sono fratelli e sorelle, dunque la chiesa va con loro al fronte.
Una voce forte si è levata perché le chiese europee facciano la differenza anche finanziando progetti di ricostruzione ed educazione alla pace, invece di sostenere governi che finanziano gli armamenti. La solidarietà con le chiese in Ucraina può essere mostrata attraverso la preghiera e l’invio di aiuti ma anche con visite di persona. La pace giusta richiede verità, ascolto delle vittime, pentimento, diritti umani e anche solidarietà internazionale. In particolare la verità è compito e dovere delle chiese.
Il discepolato radicale trasforma i cuori e le pratiche, mettendo al centro il rispetto dei diritti umani. E le chiese europee sono invitate a sviluppare più coraggio nelle loro azioni di sostegno all’Ucraina e ai dissidenti russi in un contesto di pace giusta. I delegati hanno anche sottolineato l’importante lavoro per la pace compiuto dai e dalle giovani, che andrebbe messo in primo piano e ascoltato con attenzione dalle chiese. In sostanza si è messo l’accento sulla necessità che già nel corso della guerra si sviluppi la capacità di dire la verità sui crimini commessi per agire un possibile dialogo basato sulla giustizia trasformativa. E le chiese ci hanno provato in questo incontro intenso da cui viene un urgente invito alla preghiera per i territori invasi e i loro abitanti e un invito alla solidarietà, a non lasciare sola l’Ucraina, e a continuare a sviluppare la teologia della pace, dono di Dio, proprio perché siamo sotto l’ombra oscura della guerra.
Foto di Łukasz Troc/KEK