Il sollievo per cui preghiamo è direttamente correlato alla ricerca di pace e giustizia
“Guariscimi, Signore, e sarò guarito; salvami e sarò salvo”.
Geremia 17,14
Geremia, profeta in lacrime, pronuncia gli oracoli in un periodo di grande agitazione nel Paese. Il popolo e la classe dirigente sono alle prese con il peccato, l’idolatria, la violenza e il giudizio imminente; vittima di una reazione furiosa per aver affrontato i potenti, è ora solo, ripiegato sulla malattia mortale della propria anima. Aspira alla guarigione interiore di fronte a ferite, delusione, amarezza, smarrimento: il Signore lo aveva chiamato ad un compito sovversivo, ingrato, coronato da insuccessi e isolamento, e ora la guarigione del rapporto con Dio comporterà una radicale ristrutturazione dei suoi concetti su Dio, su di sé e sul mondo.
Che cosa cerchiamo anche noi? Forse, un graduale ripristino dell’integrità fisica e benessere emotivo, delle funzioni mentali e della vitalità spirituale? O forse, un processo di riconciliazione delle relazioni lacerate nella comunità di appartenenza, nella famiglia? Questa esigenza comprenderà l’aspirazione a un ordine sociale e politico giusto tra le etnie e le nazioni? Il sollievo se non il benessere per cui preghiamo è direttamente correlato alla ricerca di pace e giustizia. Guariamo quando ritroviamo l’unità interiore e il nostro essere è integrato in una relazione dinamica con Dio, il mondo esterno e la comunità di appartenenza: una vita centrata su un patto, moralmente impegnata nel mondo.
Non era questa la vocazione di Geremia? Perché allora egli sperimenta incompletezza, inquietudine, disarmonia con Dio, sé stesso e i suoi conterranei? Nessuno più di lui è consapevole della dimensione sociale della salvezza, eppure dovrà liberarsi da emozioni distruttive, per riconciliarsi con i propri limiti e consegnarsi alla grazia di un Dio che lo aveva sedotto, senza dargli nulla in cambio.
