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Come cambia la fede cristiana con la Riforma protestante?

Una scheda tematica in occasione della Festa della Riforma

Il cambiamento introdotto dalla Riforma fu profondo e radicale: scosse le fondamenta dell’Europa del Cinquecento, influenzò regni e poteri costituiti e inaugurò una stagione di trasformazioni imprevedibili. Il predominio papale sulla vita religiosa dell’Europa occidentale subì un decisivo ridimensionamento, dando forma a una nuova Europa confessionale, caratterizzata da pluralismo religioso e dalla nascita di chiese e movimenti dissidenti. Nuove forme di fede e di prassi cultuale e morale plasmarono la vita dei fedeli e ridefinirono il rapporto tra religione, cultura e società. Dalla ricca eredità spirituale e culturale della Riforma, frutto dell’incontro fra istanze evangeliche e fermenti umanistici, emersero tre principi destinati a segnare durevolmente la coscienza religiosa dell’Occidente: sola Scripturasola gratia e sacerdozio universale dei credenti.

Scrittura 

Il principio della sola Scriptura, tratto distintivo della Riforma protestante, affonda le radici nella tradizione medievale, nei movimenti pauperistici e nel pensiero di teologi come Wyclif e Hus, mentre gli umanisti cristiani del Quattrocento e del primo Cinquecento – da Reuchlin a Lefèvre d’Étaples fino a Erasmo – promossero il ritorno della Scrittura al centro della vita della fede e della chiesa.

I Riformatori della prima generazione tradussero tale impulso in un programma concreto, ponendo la Parola al centro della vita della chiesa. Essi affermarono che il magistero ecclesiastico è non al di sopra ma al servizio della Scrittura e  che la conoscenza di Dio è mediata unicamente da essa, consentendo ai credenti di esercitare pienamente la libertà cristiana e liberando la Chiesa dal proprio orgoglio spirituale e dalle compromissioni mondane. Nessuno dei Riformatori magisteriali intese ridurre la Bibbia a un codice immutabile di verità o sottrarla alla critica storica, riconoscendone l’umanità dei testi, in netto contrasto con il protestantesimo ortodosso del Seicento e il fondamentalismo moderno.

L’applicazione del principio della sola Scriptura non fu né semplice né pacifica. Movimenti radicali della Riforma, da Müntzer a Carlostadio, dagli anabattisti agli spiritualisti, ne proposero letture divergenti; analogamente, il conflitto tra Lutero e Zwingli sull’interpretazione della Cena del Signore ne evidenziò le difficoltà. A Ginevra, Miguel Serveto si appellò alla Scrittura per sostenere le proprie tesi antitrinitarie contro Calvino.

In ambito cattolico, il Concilio di Trento affrontò con decisione la questione della sola Scriptura, affermando che la Bibbia non costituisce l’unica fonte della rivelazione e che essa è inscindibile dalla Tradizione, ribadendo al contempo l’autorità della Chiesa come interprete autentica della Parola.

Grazia 

Dalla Scrittura la Riforma ha tratto la prospettiva di fondo del suo messaggio, compendiato nella formula  “grazia soltanto”, alla quale seguono sempre altre due: “solo Cristo” e “sola fede”. Insieme esse indicavano  il rifiuto del sistema teologico della Chiesa latina, centrato sul peccato originale – infinito perché commesso contro la maestà infinita di Dio – e sulla necessità di un’espiazione proporzionalmente infinita. In quell’ordine rigidamente giuridico nulla si concedeva gratuitamente: persino la salvezza era concepita come ricompensa dei meriti umani, un vero atto di giustizia retributiva. Sotto questo profilo, la Riforma segnava una rivoluzione copernicana del XVI secolo religioso: riscopriva l’annuncio evangelico della pura misericordia di Dio in Cristo, della grazia senza merito e al di là del merito, che spalanca all’essere umano l’accesso a Dio, lo libera da ogni disperazione per la propria salvezza e lo chiama a riceverla in dono, affidandosi con fiducia alla giustizia divina.

Questa insistenza sulla salvezza per sola grazia non si traduce, tuttavia, in uno sterile quietismo, né comporta la negazione delle opere, dell’azione, come si sente spesso ripetere. I riformatori del secolo XVI mostrarono, al contrario, una viva sensibilità sociale. Non è senza significato che uno dei grandi scritti riformatori di Lutero abbia proprio per titolo Trattato delle buone opere, e che la prima opera a stampa di Martin Bucero tratti Del cristiano che non vive per se stesso, ma per il suo prossimo, né che la Riforma di Zwingli a Zurigo e quella di Calvino a Ginevra, e nei paesi lievitati dal calvinismo, abbiano esercitato un forte impatto sociale, unendo strettamente rinnovamento religioso.

Sacerdozio universale 

Il “sacerdozio universale di tutti i credenti” non va inteso come una dottrina egualitaria di sapore illuministico, secondo cui ciascuno sarebbe sacerdote di se stesso in un rapporto solitario con Dio. Né si riduce a un incarico ecclesiastico specifico: esso appartiene a tutti i battezzati, senza distinzione tra sacerdoti, pastori o laici.

Nell’accezione biblica (1 Pietro 2,9-15) assunta dai Riformatori, essere sacerdoti significa testimoniare Cristo al prossimo, essendo ambasciatori della sua pace e portatori della sua luce, tanto verso chi vive nelle tenebre quanto verso chi già dimora nella luce. Comporta assumersi davanti a Dio la responsabilità della comunità, intercedendo nella preghiera e offrendo parole di riconciliazione e di pace, con onestà e amore.

Essere sacerdoti implica vivere con coerenza e fedeltà al Vangelo, affinché la propria vita divenga strumento al servizio del Signore, riflesso della sua luce e presenza della sua grazia. In tal modo, si diventa per gli altri ciò che il Signore è per noi: guida, consolazione, speranza e amore. In questo libero servizio – insieme dono e compito, libertà e responsabilità – si concentra il senso più profondo del sacerdozio universale e, con esso, il cuore pulsante dell’etica della Riforma.

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