Occasione feconda di incontro, confronto e dialogo o rito stanco, formale e di routine? Il destino della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (dal 18 al 25 gennaio) è spesso in bilico tra questi due estremi, oscillando pericolosamente verso il secondo se non trova una continuità e una profonda “interferenza” nella vita e nelle abitudini delle singole chiese. Così, fa bene il neo presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI), Luca Negro, a sottolineare come negli anni «abbiamo fatto della Settimana una sorta di gabbia dorata, di ghetto spirituale, una volta all’anno ci ricordiamo di pregare insieme per l’unità , dovremmo invece farlo regolarmente. Se crediamo davvero all’impegno ecumenico, occorre moltiplicare le occasioni di testimonianza e di servizio comune nella nostra società , operando insieme per la giustizia, la pace e la salvaguardia del Creato». Il tema scelto quest’anno viene in aiuto a questo auspicio di Negro, perché è un tema centrale, fondante della missione di ogni chiesa cristiana: “Chiamati per annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio” (tratto da I Pietro 2:9).
Una settimana di preghiera “insieme” incentrata sull’annuncio del Vangelo e della salvezza in Cristo, in altre parole sull’opera di evangelizzazione “esplicita”. La dimensione ecumenica di questa missione delle chiese cristiane appare evidente, perché pur nelle varie diversità dottrinali ed ecclesiologiche, l’annuncio di Gesù fatto “insieme” dalle varie chiese (e non ognuna per conto proprio) è più efficace.
Questo, però, può accadere solo se ogni chiesa cerca davvero di annunciare la salvezza in Cristo e non si limita ad annunziare sé stessa, perché è anche qui (oltre che nel comune servizio alla società ) che l’unità diventa visibile e concreta al di là delle divisioni. Come diceva il pastore e teologo valdese Vittorio Subilia in un sermone preparato alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 1954 (e censurato dalla Rai che ne impedì la trasmissione in radio) «se ogni chiesa, invece di credere nella propria verità e di sperare in sé stessa e nei propri successi ecclesiastici crede e spera in Cristo solo Signore della Chiesa, se ogni chiesa, invece di essere soddisfatta di sé stessa, si dispone a misurare la distanza che la separa dalla pienezza di quell’Evangelo in cui è contenuto il mistero di Cristo (…) allora Dio può dare alla sua Chiesa il dono dell’unità …».
Ecco un bel modo di vivere davvero questa settimana all’insegna dell’unità che non è omologazione, non è appiattimento “non è uniformità », come ha sottolineato Papa Francesco nello storico incontro nel tempio valdese, ma non è neanche fatta di formali cortesie da ripetere una volta l’anno. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani non ha senso se si esaurisce in una serie di dibattiti in cui illustrare le varie posizioni delle varie chiese per poi far sì che ognuno torni a casa propria come prima. Ha senso solo se vissuta nel comune sforzo di annunciare “insieme” l’Evangelo e, di conseguenza, se trova continuità nel tempo, in un costante rimettersi in discussione alla luce del messaggio di Cristo.
Come ricorda lo stesso Subilia in un altro famoso sermone del giugno 1944 (contenuto, come il precedente, nel libro “La Parola che brucia”) Martin Lutero diceva che «quando viene la Parola di Dio, ogni volta che è predicata, essa vuole mutare e rinnovare il mondo…». Cambiare il mondo, quanto bisogno ci sarebbe. Vogliamo provarci davvero?
18 gennaio 2016