Il Sinodo, premesso che
– davanti a Dio siamo tutti peccatori e il giudizio appartiene all’Eterno, ma che le persone sono chiamate alla consapevolezza degli errori commessi e alla responsabilità per le azioni compiute, siano esse ingiustizie, soprusi o violenze;
– l’ultima parola di Dio non è la punizione, ma che, grazie all’azione di Dio, le persone possono cambiare essendo l’Evangelo generatore di possibilità e di speranza per tutte e tutti;
– nelle parole “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27 della Costituzione) risuona un messaggio consonante con l’annuncio della grazia e della salvezza destinata da Dio a tutti e tutte;
denuncia
– la drammatica situazione di sovraffollamento degli istituti di pena in Italia e la mancanza delle basilari condizioni per una vita dignitosa;
– i fenomeni di discriminazione che si verificano nell’amministrazione della giustizia e nelle carceri e che colpiscono prevalentemente persone in condizione di povertà materiale e sociale, spingendo intere comunità alla marginalizzazione;
– la carenza di possibilità di lavoro per le persone detenute all’interno degli istituti penitenziari e il livello poco qualificante delle rare opportunità di lavoro, con mansioni per lo più ripetitive e inadeguate a preparare futuri inserimenti lavorativi;
– la precaria condizione sanitaria all’interno degli istituti penitenziari e la mancanza di opportunità per accogliere in comunità terapeutiche le moltissime persone detenute e tossicodipendenti;
– la difficile situazione delle persone transessuali in carcere e l’indifferenza dell’istituzione nei confronti delle violenze sessuali subite dalle persone detenute per umiliare e sottomettere i più deboli;
– il trasferimento di persone malate psichiatriche in strutture carcerarie, per la strutturale insufficienza delle REMS, e la loro condizione di persone “incurabili”, senza fine pena;
– l’impostazione dell’assistenza spirituale che vede la presenza quasi esclusiva di cappellani cattolico-romani a fronte di una popolazione con appartenenze religiose molto eterogenee;
– il progressivo sgretolamento delle tutele una volta previste dalla giustizia minorile, che ne facevano un modello a livello europeo e che ora, in particolare con l’applicazione del DL cosiddetto “Caivano”, vede i giovani (18-21 anni) all’interno del sistema penitenziario per adulti;
chiede alle chiese di testimoniare la liberazione annunciata da Gesù ai prigionieri
– vegliando, mediante la riflessione biblica e la preghiera, affinché la retorica securitaria, che si richiama unicamente agli strumenti repressivi, non si diffonda al proprio interno;
– contrastando narrazioni demagogiche, tese a creare pregiudizi nocivi in generale alla convivenza democratica, e specificamente ai processi di umanizzazione del carcere e della pena;
– incoraggiando i propri membri a pratiche di volontariato che aiutino le comunità ad essere direttamente presenti accanto a coloro con i quali il Signore si è esplicitamente identificato;
e di impegnarsi:
– ad essere luoghi sicuri, accoglienti e protetti dal clima di allarme sociale e ad essere capaci di confutare le narrazioni strumentali proponendo l’esperienza diaconale concreta dell’incontro;
– a favorire e sostenere chi promuove l’applicazione di pene alternative alla detenzione;
– a promuovere i programmi di giustizia riparativa sanciti dal D.lgs 150/2022 (cosiddetta Riforma Cartabia) che ad oggi risultano essere ancora poco conosciuti e fortemente sottoutilizzati;
– a favorire, per quanto nelle loro possibilità, percorsi di reinserimento e accompagnamento di persone provate dall’esperienza detentiva;
chiede alla CSD e alle opere diaconali di testimoniare la liberazione annunciata da Gesù ai prigionieri nei loro progetti volti:
– al sostegno della genitorialità delle persone detenute, alle prese con stigma e difficoltà;
– ad essere accanto a tutta la comunità carceraria, compresa la polizia penitenziaria, educatori ed educatrici, assistenti sociali e personale infermieristico e medico che lavorano all’interno degli istituti penitenziari e che patiscono, per molti versi, le medesime sofferenze delle persone detenute;
– ad accompagnare le persone che escono dagli istituti penitenziari proponendo supporti e relazioni, facilitando servizi per la ricerca di una soluzione abitativa e accompagnando l’inserimento lavorativo;
– a promuovere, per quanto di competenza, presidi di supporto a percorsi di “giustizia riparativa”.
