L’attesa dell’agire di Dio vince la nostra indifferenza e ci mobilita per il bene comune
«Se tarda, aspettala; poiché certamente verrà; e non tarderà»
Abacuc 2, 3
Scriveva Cesare Pavese nel suo libro “Il mestiere di vivere”: «Aspettare è ancora un’occupazione. È non aspettare niente che è terribile». Nella circostanza storica che il profeta Abacuc vive non è facile imparare ad aspettare. Essa è segnata da: «rapine e violenza; ci sono liti e nasce la discordia. La legge è senza forza, il diritto non si fa strada, l’empio raggira il giusto e il diritto ne esce pervertito»(1,3-4).
Abacuc non regge la situazione e grida, fin dalle prime righe del libro, tutta la sua disperazione a Dio rimproverandogli di non ascoltare la sua denuncia (1,2 sg). La domanda è chiara: «perché non agisci contro i malvagi ?». L’attesa di un Dio che faccia esattamente quello che vogliamo è comprensibile. Dio tuttavia non si lascia imprigionare in uno schema precostituito. Se così fosse, tutto sarebbe più facile. Invece aspettare richiede tutto il nostro impegno.
Certo che ci aspettiamo da parte di Dio il bene e non il male. La giustizia e non la distruzione. La verità e non la menzogna. Ma tutto ciò non cade dall’alto e richiede il nostro impegno concreto e quotidiano. Non abbiamo bisogno di accumulare meriti o azioni virtuose per evitare il giudizio di Dio. La nostra attesa non è dettata dalla paura o dal tornaconto ma dall’ostinata fiducia che Dio agisca nonostante tutto. Il profeta ci ricorda proprio in questo passaggio che «il giusto vivrà per la sua fede» (2,4).
L’attesa che Dio agisca è un’attesa operosa. Da essa sgorga l’energia necessaria per agire contro le forze disgregatrici che ci circondano. L’accento cade sull’opera di Dio e non sulla nostra. Non costruiamoci alibi, non diciamo che non si può fare nulla contro l’ingiustizia che è davanti ai nostri occhi. In realtà qualcosa di positivo si può sempre fare. Dimetterci da questo compito (senza neppure provarci) significa sostituire l’attesa con la rassegnazione. Rinchiuderci in noi stessi non serve a nessuno. Neppure a noi stessi. L’attesa dell’agire di Dio vince la nostra indifferenza e ci mobilita per il bene comune.
