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di Erica Sfredda

"Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a Lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra”.

Questo testo, potentissimo, è l’inizio di quel memorabile discorso di Gesù, uno degli ultimi prima della Passione, in cui il Figlio di Dio ci parla del giudizio, del Suo giudizio. È uno di quei passi che oggi tendiamo ad ascoltare con orecchio distratto e disattento, a leggere come una metafora, non una realtà. In primo luogo perché facciamo fatica a mettere in discussione il nostro stile di vita. Viviamo in un’epoca in cui relativizziamo il peccato, nascondendoci dietro una falsa interpretazione del concetto di responsabilità: crediamo di dover rispondere solo di quello che possiamo controllare, tutto il resto non ci riguarda. Eppure questo testo esiste e ci ricorda esplicitamente la volontà di Dio. Se ci disinteressiamo a quello che avviene accanto a noi, alla sofferenza creata dal nostro stesso sistema di vita e dimentichiamo le nostre piccoli e grandi responsabilità, ci avviamo sulla china dell'autodeterminazione, dell'autosufficienza e dimentichiamo Dio. Diventiamo noi i giudici di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato e finiamo con l’accogliere tutte le motivazioni che nel corso dei secoli hanno permesso ai cristiani di avvallare la schiavitù, la tortura, l’inquisizione, la tratta degli schiavi africani e i tanti orrori presenti e passati che ben conosciamo.

Gesù, invece, ci chiede di assumerci la nostra responsabilità di uomini e donne nuovi, uomini e donne il cui cuore di pietra può diventare un vero cuore di carne che pulsa e batte all’unisono con tutta la Creazione.