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di Laura Testa

“Or Labano aveva due figlie: la maggiore si chiamava Lea e la minore Rachele. Lea aveva gli occhi delicati, ma Rachele era avvenente e di bell’aspetto”.

Lea è un personaggio minore, è definita dai propri legami di parentela: dal nome del padre, della sorella minore, del marito, dei figli. Lea non parla quando il padre la travisa per farle sposare un uomo che non la ama, non si oppone quando il marito consuma il matrimonio, non si ribella mai, neppure quando lui sposa anche sua sorella. Solo quando dà il nome ai suoi figli, Lea racconta del proprio dolore, del suo desiderio di essere amata e desiderata dal proprio compagno, dell’odio che subisce suo malgrado, della propria grande delusione e della fede che pone nel Signore che vede e ascolta il suo strazio. La storia di Lea è quella di tante donne e bambine abusate, silenziate, violentate, costrette a sposarsi, ma anche la storia di coloro che non sono amate e che per amore patiscono abusi e maltrattamenti, tradimenti di ogni genere: la storia di tutte coloro che sono intrappolate in un mondo patriarcale, che toglie loro il respiro, la libertà, la parola. Di Lea sappiamo solo che aveva gli occhi delicati, che esprimevano la sua attitudine dolce e remissiva. Quelli di Lea erano occhi docili, ma miopi: non hanno riconosciuto l’inganno in cui il padre prima e il marito poi l’avevano imprigionata.

Lea paga la sua docilità: viene illusa e tradita, la sua vita è ridotta, reificata, resa strumento di procreazione. La Bibbia però si ricorda di Lea e dei suoi occhi dolci e delicati e questo significa qualcosa anche per noi: quando guardiamo il mondo non possiamo dimenticarci di tutte le donne tradite, umiliate, oggettificate e silenziate. Abbiamo il dovere di fare memoria di Lea e di denunciare le dinamiche di oppressione che ancora oggi privano le donne della vita, della parola e della dignità.