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di Laura Testa

"Passano la notte nudi, senza vestito, senza una coperta che li ripari dal freddo. Ce n'è di quelli che strappano dalla mammella l'orfano, che prendono pegni dai poveri! E questi se ne vanno, nudi, senza vestiti; hanno fame, e portano i covoni”.

Il libro di Giobbe ha il coraggio di affrontare il tema del dolore e del male in maniera diretta: le parole con cui descrive gli abusi che si registrano nelle relazioni umane sono brutali nel loro realismo. La sua richiesta di giustizia è toccante e fa intravedere l’amarezza di chi, pur avendo fede, non vede avverarsi la promessa del bene per tutti e per tutte. I suoi amici più cari provano a consolarlo, ma l’esistenza del male non è qualcosa da cui si possa essere consolati, è un dolore sordo, che logora la coscienza e non si assopisce finché non si avvera la giustizia. Gli amici di Giobbe aspirano a giustificare Dio, ma anziché scagionarlo, lo rinchiudono nell’ambito del sacro, dell’intangibile, dell’imperscrutabile: lo separano fatalmente dall’umanità. Giobbe pretende un Dio personale, la sua fede supera le convenzioni: afferma pervicacemente l’irrilevanza di un Dio onnipotente che permette il male e si ostina a sperare nel Dio Redentore che risponde all’urlo dell’essere umano. Cosa cambia per noi questa fede di Giobbe? Innanzitutto ci autorizza a provare rabbia, ad indignarci, a chiedere ragione dell’orrore e del dolore che alcuni si trovano a sopportare. Ci sollecita a resistere alle visioni del mondo che ci spingerebbero ad accettare l’immutabile mistero del male. Il male non è misterioso, ma il bene, l’amore, la solidarietà e l’accoglienza sono meraviglie che danno senso alla vita. Dio che ama e crea la vita bella e gioiosa, agisce in ogni luogo ed in ogni tempo anche attraverso di noi: dà riparo a chi ha freddo, cibo a chi ha fame, acqua a chi ha sete.