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di Stanislao Calati

"Gettate su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi”.

Chi non conosce il detto popolare “Aiutati che il ciel ti aiuta”? È la smentita, da parte della saggezza popolare e dell’esperienza comune, del valore e della verità dell’esortazione che leggiamo nella Prima Lettera di Pietro? No, non direi. Leggiamo l’ammonimento della saggezza popolare, formatasi sulla comune esperienza, come l’invito accorato a non confondere l’affidarsi a Dio con la passività, il disimpegno, il più sciocco fatalismo, l’ottimismo fasullo per cui tutto, alla fine si aggiusta da sé. Non è questo che Dio vuole da noi. L’autore della Prima Lettera di Pietro parla, invece, di preoccupazioni, di quelle situazioni e condizioni delle quali non possiamo “occuparci” e che tuttavia ci preoccupano fino a paralizzarci, fino a diventare motivo costante di tensione, rendendoci incapaci di godere del bello e del buono che la vita ci offre. Quante volte, affidandoci a Dio, ciò che pareva irrisolvibile, si risolve da sé, quella matassa, che non si sbrogliava, si sbroglia con facilità, quel muro, che ci sbarrava il cammino, crolla davanti a noi per lasciarci passare. Dio ha cura di noi. Gesù ce lo ha ripetuto e confermato con parabole e immagini bellissime: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?” (Matteo 6:26). Lasciamo quindi a Dio ciò che non possiamo fare, affinché il vuoto della nostra impotenza sia riempito dalla sua onnipotenza, impegniamoci in ciò che possiamo fare di bello e buono, confidando nella sua benedizione e nel fatto che la nostra fatica con il suo aiuto darà il suo frutto a tempo debito.